Dopo la quiete la tempesta. A un iniziale silenzio seguono feroci proteste per il risultato delle elezioni presidenziali in Venezuela. Migliaia di persone scese in strada a Caracas, la capitale. Alcune hanno percorso chilometri a piedi dalle baraccopoli sulle montagne che circondano la città per raggiungere il palazzo presidenziale, al grido di “Libertà, libertà”. Per cercare di disperdere i manifestanti una massiccia presenza di militari e polizia, che hanno sparato gas lacrimogeni e proiettili di gomma. "Sono 749 i manifestanti arrestati": annuncia il procuratore venezuelano Alex Saab in una conferenza stampa. Gli arresti sono stati eseguiti a vario titolo, dagli atti vandalici a istigazione all'odio, a terrorismo, tra gli altri. Il casus belli sono i presunti brogli che, nelle urne di domenica, hanno portato a una riconferma fino al 2031 del presidente Nicolas Maduro. I risultati ufficiali lo vedono vincere con il 51% dei voti contro il principale sfidante Edmundo Gonzalez, fermo al 44%. Ma secondo l'opposizione quest'ultimo sarebbe avanti con il 73,2% dei voti.
Nei sondaggi pre-elettorali era lui il favorito per riuscire nell'impresa di scalzare il presidente dopo 11 anni al potere, in un contesto di diffuso malcontento per la crisi economica del Paese. Il regime ha espulso gli ambasciatori di Argentina, Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana e Uruguay, accusando queste nazioni di "interferenza". Mentre gli Stati Uniti esprimono forti dubbi sull'esito del voto e sarebbero pronti a valutare nuove sanzioni. Cina, Russia, Iran e Cuba, invece, si sono congratulate con Maduro.
"Sono 749 i manifestanti arrestati in Venezuela": lo annuncia il procuratore venezuelano Alex Saab in una conferenza stampa. Gli arresti sono stati eseguiti a vario titolo, dagli atti vandalici a istigazione all'odio, a terrorismo, tra gli altri.