Allo United Center, ieri, è stato il giorno di Tim Walz: visibilmente emozionato quando ha accettato la nomination a vice di Kamala Harris. Tassello d'importanza strategica, il governatore del Minnesota, nel ticket presidenziale democratico. Poiché capace di parlare all'America profonda, mostrandosi empatico verso la classe media impoverita da decenni di deindustrializzazione.
L'ormai consueta liturgia anti-trumpiana, invece, nell'intervento dell'ex Presidente Bill Clinton. A conferma della reciproca delegittimazione, in questa campagna, dei due schieramenti: fotografia delle profonde faglie che attraversano il Paese, minandone il ruolo di egemone globale.
Cartina tornasole di questo momento delicato – per la Superpotenza - la crisi mediorientale: l'"elefante nella stanza", alla convention democratica. Senza soluzione di continuità, infatti, a Chicago, i cortei pro-Gaza; e non sono mancati arresti. Situazione insomma che potrebbe avere un impatto sulla corsa alla Casa Bianca; visti i malumori decisamente vocali – di parte della base liberal – nei confronti dell'Amministrazione Biden. Da qui le pressioni per il raggiungimento di un accordo che quantomeno congeli il conflitto.
Ieri il Presidente aveva avuto una conversazione telefonica con Netanyahu. Quest'ultimo – stando ai media americani - avrebbe mostrato la volontà di accettare alcuni compromessi nei negoziati con Hamas. Non è chiaro tuttavia se questa disponibilità al dialogo riguardi anche il ritiro delle truppe dal confine sud di Gaza: pietra d'inciampo del negoziato che dovrebbe riprendere a breve al Cairo. Blinken avrebbe proposto una partecipazione dell'Egitto ad eventuali forze internazionali per il mantenimento della pace nel cosiddetto “corridoio Filadelfia”; con un ruolo di supervisione – però – da parte di Israele.
Non solo sforzi diplomatici, però; anche prove muscolari: come l'arrivo nel quadrante della flottiglia guidata dalla portaerei Abraham Lincoln. E ciò in vista dell'annunciata – e sempre possibile – rappresaglia iraniana a seguito dell'assassinio a Teheran di Ismail Haniyeh. “I tempi della risposta” saranno “meticolosamente orchestrati per garantire che avvenga in un momento di massima sorpresa”, ha affermato la missione permanente della Repubblica islamica presso le Nazioni Unite. Apparentemente controintuitivo, intanto, quanto riferito da funzionari statunitensi al Washington Post. Ovvero che il leader di Hamas Sinwar sia interessato ad un accordo per porre fine alla guerra; ma stia temporeggiando nella speranza che l'Iran o Hezbollah attacchino Israele.