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Consiglio, tensione alle stelle sulla giustizia. La lettera dei magistrati infiamma l'Aula

di Monica Fabbri
20 lug 2020
Consiglio Grande e Generale
Consiglio Grande e Generale

I nervi sono tesi, non mancano momenti di tensione. La Reggenza rende pubblica la lettera inviata al Segretario Generale del Consiglio d'Europa da dirigente del tribunale e 9 magistrati. Al centro la modifica della composizione del Consiglio Giudiziario, che rischia di minare – avvertono le toghe - indipendenza della magistratura ed equilibrio tra i poteri. Nel mirino la retroattività della legge. Si chiede un intervento urgente dell'Europa perché parlamento e Governo – scrivono - “hanno attuato una strategia per rovesciare le decisioni del Consiglio Giudiziario Plenario, per formare una nuova maggioranza, estromettere giudici e soppiantarli con altri votati da politici e da una minoranza di giudici allineata”. Viene tirata in ballo anche la Reggenza, per non aver messo al voto documenti proposti da magistrati.

Per il Segretario alla Giustizia la lettera è “irrituale, inopportuna, parziale”. “Raffigura – spiega - solo l'ultima parte di una vicenda iniziata nel 2017 con la rimozione del Magistrato Dirigente”. Revoca sottoscritta dagli stessi firmatari della lettera. Quell'atto – dice - ha fatto saltare il delicato confine fra politica e magistratura. “Porteremo tutto all'evidenza del Consiglio d'Europa partendo fin dall'inizio”. Richiama infine al rispetto delle istituzioni: “la Suprema Magistratura – dice - è insindacabile”. Che in tribunale sia in corso una lotta intestina è chiaro a tutti, “spietata e insopportabile” dice Giovanni Zonzini. Ma i problemi della giustizia, per il consigliere di RETE, non nascono tre anni fa “ed è impossibile – aggiunge - pensare ad una restaurazione”. Il vero problema che attanaglia il paese è per Zonzini l'ingerenza delle correnti giudiziarie all'interno della politica, non il contrario. Rispetta la decisione di Iro Belluzzi: “ognuno deve votare secondo coscienza”. Durissimo Gian Nicola Berti, che non risparmia invece critiche al collega “che nella libertà assoluta del mandato – dice - ha spiegato chi è e da che parte sta dal punto di vista politico”. La cronologia degli eventi mi fa pensare – aggiunge - che tutto fosse pianificato fin dall'inizio”, evidenziando il conflitto di interessi dei firmatari.

Giuseppe Morganti non nasconde l'amarezza: “peccato che la politica non abbia la forza di trovare una strada comune per restaurare la pace nel tribunale”. Si dice allibito da certe affermazioni in relazione all'onorabilità di magistrati in carica. Parla di intervento a gamba tesa sulla magistratura, con atti politici su ruolo, funzione e che impediscono ai magistrati di esercitare il proprio lavoro. Per la maggioranza, invece, parte della magistratura sta facendo un atto politico. “L'indipendenza fra poteri – ricorda Elena Tonnini - non va in un'unica direzione”. Per Andrea Belluzzi grave l'aver messo, con un atto irrituale, in difficoltà il paese verso l'esterno. “Mettete via la clava. Ragioniamo con serenità e cominciamo ad analizzare i fatti. Con onestà”, invita Fernando Bindi, per cui “il clima è di una campagna elettorale di cui non abbiamo bisogno”. Atteso l'intervento di Filippo Tamagnini, che spiega le ragioni delle sue dimissioni “ non richieste” ma presentate affinché maggioranza e governo non si sentissero ostacolati dai suoi giudizi o frenati dal suo voto. “Giusto rimettere il mandato – spiega – quando non c'è perfetta sintonia di intenti”. Guarda al futuro, alla necessità di un nuovo spazio istituzionale creato per legge, luogo del confronto, per ricreare un clima di fiducia. “Non siamo di fronte a una querelle tra avversari politici – ricorda - ma a una lotta tra organi dello Stato”. "Se le colombe in maggioranza – afferma Matteo Ciacci – avranno la capacità di emergere, noi ci saremo. E senza chiedere in cambio niente”.


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