La SMAC era stata ideata come occasione di ricchezza e invece ha finito con l’essere motivo di discordia. Gli argomenti sostenuti da chi la osteggia – i costi di servizio, le inefficienze nel raccordo con la pubblica amministrazione, i labirinti burocratici, le difficoltà operative, eccetera – hanno fondamento e vanno tenuti in considerazione, ma sviliscono il dibattitto a una dimensione che di politico non ha niente.
Il problema non è la SMAC. Il problema è che sono finiti i bei tempi di In Repubblica conviene. Il piatto s’è mezzo svuotato, e quando il piatto si svuota la gente inizia a misurare i rapporti materiali. I pregiudizi di sempre e i luoghi comuni stanno avvelenando i rapporti oltremisura, in modo particolare tra lavoratori dipendenti (leggi pubblici) e autonomi. I primi inveiscono: “non avete versato neanche un decimo delle pensioni che percepite; il forfettario vi ha ingrassato il
portafogli a dismisura; la vostra idea di commercio è ferma agli anni Settanta; col contrabbando avete partecipato a danneggiare l’onore delle Repubblica; evasori!”. E per contro: “le tutele che c’avete voi, noi ce le sogniamo la notte; timbrate l’uscita e poi correte a lavorare in nero; siete tutti clienti di qualche politico; il rischio d’impresa non sapete neanche che cos’è; anche se vi trovano a rubare, il posto non ve lo tolgono lo stesso; le vostre paghe si mangiano quasi l’intero bilancio dello Stato; vagabondi!".
Dove sta la verità? Per chi pratica il divide et impera la verità sta nel mezzo, così che la contesa si protragga il più a lungo possibile e sia più facile spadroneggiare. In realtà, la verità sta da un’altra parte, sta attorno a quel piatto che si svuota. È lì che bisogna ragionare.
Il rapporto tra dovere civico e corruzione. Purtroppo pagare i tributi all’erario sammarinese non fa provare il sollievo della coscienza a posto. Al contrario, la sensazione che si ha è di una complicità passiva con quella che i commissari della legge hanno definito “la spoliazione della collettività”. Ci sono attività che, nonostante la comprovata mala gestio e la violazione ripetuta delle norme, beneficiano di defiscalizzazioni quando non addirittura di finanziamenti a fondo
perduto (vedi le banche). Conclusione: come da sempre sostiene Berlusconi (mi scuserete per la citazione provocatoria), quando la riscossione dei tributi diventa un atto di forza, una vessazione da parte della cattiva amministrazione della cosa pubblica, allora “si è moralmente autorizzati a evadere”.
La giustizia sociale. La riforma tributaria dei cinquemila sul Pianello è rimasta molto lontana dal mettere i conti in pari fra i contribuenti (riforma, tra l’altro, contestatissima dai commercialisti anche per il suo impianto mastodontico e ingarbugliato). Faccio un esempio comparativo: a una mia amica che per guadagnarsi da vivere fa l’artista di strada è stato imposto di dotarsi di un pos; parallelamente negli ultimi due anni sono stati registrati 83 milioni di monofase non versata. Insomma: gli autonomi, anche se non possono scriverlo a chiare lettere, non ci stanno a farsi contare le paglie quando ad altri non si contano i pagliai. La trasparenza. È il presupposto per un rapporto di fiducia tra i contribuenti. La politica si sbraccia e si spertica, ma poi si guarda bene dall’applicarla. Ancora a tutt’oggi gli evasori della monofase sono coperti dall’anonimato, così come i beneficiari effettivi di banche e finanziarie; i terminali dell’Ufficio Tributario non riportano i nominativi degli azionisti delle società, le visure camerali neanche; i contratti d’appalto con lo Stato non sono visionabili; molte delibere del Congresso di Stato così come di alcuni organi di governo degli enti partecipati sono secretate. È lungo l’elenco delle omertà di Stato, almeno tanto quanto i segreti che si vogliono nascondere.
La possibilità di tornare a riempire quel piatto. Senso di colpa, condanna, impotenza, espiazione: sono le passioni tristi messe in circolazione dai governanti per trasferire sull’intera popolazione le loro responsabilità, per demoralizzare i sammarinesi, convincerli dell’impossibilità di tornare a risollevarsi presto, per vincere le loro resistenze. I due uomini che più d’ogni altri hanno fornito il supporto immaginifico alla politica di Bene Comune sono l’ex segretario alle finanze Claudio Felici e il capogruppo DC Luigi Mazza: "i sammarinesi si sono
convinti di aver diritto a un privilegio, non accettano di essere uguali agli altri, invece devono accettarlo, il mondo ha detto basta alle loro scorribande; qualcuno, con le buone o con le cattive, deve portarli a più miti consigli; benché scalpitino e si ribellino, cedere non è possibile; è per il loro bene che si fa il loro male". Gli scricchiolii del loro costrutto retorico sono oramai udibili a tutti. Ma gli scricchiolii non bastano. Quel costrutto va fatto crollare. Intendo contribuirvi. Come rispose Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari nella storica intervista del 1981 al
quotidiano Repubblica: “Per chiedere sacrifici alla gente che lavora ci vuole una grande credibilità morale e politica”. Non occorre aggiungere altro. San Marino è uno Stato sovrano, può operare con leve d’autonomia proprie, non ha un esercito e quindi non deve finanziare le spese per la difesa, così come non deve sottostare ai vincoli UE del fiscal compact e del patto di stabilità interno. Le opportunità di sviluppo sono enormi e molteplici. A guisa d’esempio – come ha scritto Agostino Corbelli in un suo recente articolo – basterebbe attuare una politica dei prezzi per
aumentare da subito e in modo considerevole il gettito fiscale. Ma allora la domanda è: perché l’economia continua a sprofondare se le chance non mancano? Le risposte possono essere molte: dal concatenamento sfortunoso all’incapacità politica, dall’intreccio paralizzante di ricatti e condizionamenti alla vera e propria congiura.
Checché ne dicano Felici e Mazza, la difesa della libertà è sempre stata in funzione di un privilegio: il privilegio di essere sammarinesi di fronte al quale anche i grandi della storia si sono inchinati: da Napoleone a Garibaldi, da Abraham Lincoln a Napoleone IIII.
Quel puntino in mezzo alla penisola italiana è stato indicato come città ideale in epoca comunale, è stato preso ad esempio dalle rivoluzioni liberali, e infine, il 2 marzo 1992, ha avuto il più alto riconoscimento di stato fra gli stati. Chiedere a tutti i sammarinesi di rinunciare a quel privilegio solo perché alcuni ne hanno approfittato è un sacrilegio alla storia.
Per concludere: la battaglia non deve essere sulla SMAC, la battaglia deve essere politica. “Gente acerrima, tenace” ebbe a dire il cardinal Alberoni dei sammarinesi dopo essere stato scacciato a furor di popolo. Gente acerrima, tenace i sammarinesi. Che lo dimostrino!
Comunicato stampa di Luca Lazzari
Il problema non è la SMAC. Il problema è che sono finiti i bei tempi di In Repubblica conviene. Il piatto s’è mezzo svuotato, e quando il piatto si svuota la gente inizia a misurare i rapporti materiali. I pregiudizi di sempre e i luoghi comuni stanno avvelenando i rapporti oltremisura, in modo particolare tra lavoratori dipendenti (leggi pubblici) e autonomi. I primi inveiscono: “non avete versato neanche un decimo delle pensioni che percepite; il forfettario vi ha ingrassato il
portafogli a dismisura; la vostra idea di commercio è ferma agli anni Settanta; col contrabbando avete partecipato a danneggiare l’onore delle Repubblica; evasori!”. E per contro: “le tutele che c’avete voi, noi ce le sogniamo la notte; timbrate l’uscita e poi correte a lavorare in nero; siete tutti clienti di qualche politico; il rischio d’impresa non sapete neanche che cos’è; anche se vi trovano a rubare, il posto non ve lo tolgono lo stesso; le vostre paghe si mangiano quasi l’intero bilancio dello Stato; vagabondi!".
Dove sta la verità? Per chi pratica il divide et impera la verità sta nel mezzo, così che la contesa si protragga il più a lungo possibile e sia più facile spadroneggiare. In realtà, la verità sta da un’altra parte, sta attorno a quel piatto che si svuota. È lì che bisogna ragionare.
Il rapporto tra dovere civico e corruzione. Purtroppo pagare i tributi all’erario sammarinese non fa provare il sollievo della coscienza a posto. Al contrario, la sensazione che si ha è di una complicità passiva con quella che i commissari della legge hanno definito “la spoliazione della collettività”. Ci sono attività che, nonostante la comprovata mala gestio e la violazione ripetuta delle norme, beneficiano di defiscalizzazioni quando non addirittura di finanziamenti a fondo
perduto (vedi le banche). Conclusione: come da sempre sostiene Berlusconi (mi scuserete per la citazione provocatoria), quando la riscossione dei tributi diventa un atto di forza, una vessazione da parte della cattiva amministrazione della cosa pubblica, allora “si è moralmente autorizzati a evadere”.
La giustizia sociale. La riforma tributaria dei cinquemila sul Pianello è rimasta molto lontana dal mettere i conti in pari fra i contribuenti (riforma, tra l’altro, contestatissima dai commercialisti anche per il suo impianto mastodontico e ingarbugliato). Faccio un esempio comparativo: a una mia amica che per guadagnarsi da vivere fa l’artista di strada è stato imposto di dotarsi di un pos; parallelamente negli ultimi due anni sono stati registrati 83 milioni di monofase non versata. Insomma: gli autonomi, anche se non possono scriverlo a chiare lettere, non ci stanno a farsi contare le paglie quando ad altri non si contano i pagliai. La trasparenza. È il presupposto per un rapporto di fiducia tra i contribuenti. La politica si sbraccia e si spertica, ma poi si guarda bene dall’applicarla. Ancora a tutt’oggi gli evasori della monofase sono coperti dall’anonimato, così come i beneficiari effettivi di banche e finanziarie; i terminali dell’Ufficio Tributario non riportano i nominativi degli azionisti delle società, le visure camerali neanche; i contratti d’appalto con lo Stato non sono visionabili; molte delibere del Congresso di Stato così come di alcuni organi di governo degli enti partecipati sono secretate. È lungo l’elenco delle omertà di Stato, almeno tanto quanto i segreti che si vogliono nascondere.
La possibilità di tornare a riempire quel piatto. Senso di colpa, condanna, impotenza, espiazione: sono le passioni tristi messe in circolazione dai governanti per trasferire sull’intera popolazione le loro responsabilità, per demoralizzare i sammarinesi, convincerli dell’impossibilità di tornare a risollevarsi presto, per vincere le loro resistenze. I due uomini che più d’ogni altri hanno fornito il supporto immaginifico alla politica di Bene Comune sono l’ex segretario alle finanze Claudio Felici e il capogruppo DC Luigi Mazza: "i sammarinesi si sono
convinti di aver diritto a un privilegio, non accettano di essere uguali agli altri, invece devono accettarlo, il mondo ha detto basta alle loro scorribande; qualcuno, con le buone o con le cattive, deve portarli a più miti consigli; benché scalpitino e si ribellino, cedere non è possibile; è per il loro bene che si fa il loro male". Gli scricchiolii del loro costrutto retorico sono oramai udibili a tutti. Ma gli scricchiolii non bastano. Quel costrutto va fatto crollare. Intendo contribuirvi. Come rispose Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari nella storica intervista del 1981 al
quotidiano Repubblica: “Per chiedere sacrifici alla gente che lavora ci vuole una grande credibilità morale e politica”. Non occorre aggiungere altro. San Marino è uno Stato sovrano, può operare con leve d’autonomia proprie, non ha un esercito e quindi non deve finanziare le spese per la difesa, così come non deve sottostare ai vincoli UE del fiscal compact e del patto di stabilità interno. Le opportunità di sviluppo sono enormi e molteplici. A guisa d’esempio – come ha scritto Agostino Corbelli in un suo recente articolo – basterebbe attuare una politica dei prezzi per
aumentare da subito e in modo considerevole il gettito fiscale. Ma allora la domanda è: perché l’economia continua a sprofondare se le chance non mancano? Le risposte possono essere molte: dal concatenamento sfortunoso all’incapacità politica, dall’intreccio paralizzante di ricatti e condizionamenti alla vera e propria congiura.
Checché ne dicano Felici e Mazza, la difesa della libertà è sempre stata in funzione di un privilegio: il privilegio di essere sammarinesi di fronte al quale anche i grandi della storia si sono inchinati: da Napoleone a Garibaldi, da Abraham Lincoln a Napoleone IIII.
Quel puntino in mezzo alla penisola italiana è stato indicato come città ideale in epoca comunale, è stato preso ad esempio dalle rivoluzioni liberali, e infine, il 2 marzo 1992, ha avuto il più alto riconoscimento di stato fra gli stati. Chiedere a tutti i sammarinesi di rinunciare a quel privilegio solo perché alcuni ne hanno approfittato è un sacrilegio alla storia.
Per concludere: la battaglia non deve essere sulla SMAC, la battaglia deve essere politica. “Gente acerrima, tenace” ebbe a dire il cardinal Alberoni dei sammarinesi dopo essere stato scacciato a furor di popolo. Gente acerrima, tenace i sammarinesi. Che lo dimostrino!
Comunicato stampa di Luca Lazzari
Riproduzione riservata ©