5 diversi tipi di pensione. Quella di vecchiaia, che viene elargita al termine della vita lavorativa, quella sociale – ribattezza delle casalinghe – perché viene corrisposta, una volta compiuti 65 anni, ai residenti che non hanno mai versato contributi, la pensione di invalidità quando questa supera il 50% del deficit fisico, la pensione superstiti che diventa reversibile quando il coniuge muore e la pensione privilegiata, corrisposta quando a causa di una malattia professionale o di infortunio sul lavoro si riporta una invalidità permanente, superiore al 15%.
Cifra fissa solo per la pensione minima che e’ di 842 euro al mese. Infatti la pensione di vecchiaia viene calcolata sulla media dello stipendio lordo percepito negli ultimi 5 anni di lavoro.
Ogni mese, dalla busta paga dei dipendenti , viene prelevata una percentuale pari all’11,9 destinata al fondo pensioni. L’1,6 e’ a carico del lavoratore, il 10,3 lo versa il datore di lavoro.
Ma quando si va in pensione? La legge varata tre anni fa stabilisce che tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 2002 andranno in pensione a 65 anni. La regola vale per uomini e donne, per dipendenti pubblici e privati. L’età pensionabile per chi già lavora è invece fissata dal tipo di occupazione. Nel settore pubblico, i dipendenti in organico, usufruiscono della cosiddetta pensione di anzianità, pari a 35 anni di servizio. Si parte dal 21esimo anno di età e si può essere pensionati a 56 anni, con la possibilità di continuare fino a 60, dopodiché la pensione diventa obbligatoria. Se invece non ci sono i 35 anni di servizio si può lavorare fino ai 65.
Sempre nel settore pubblico, con contratto privatistico, l’età della pensione è fissata a 65 anni, qui l’eccezione riguarda gli integrativi –obbligati al pensionamento al 60esimo anno di età – e il corpo di polizia civile in pensione, obbligatoriamente, a 53 anni, mentre gli agenti di gendarmeria e guardia di rocca possono proseguire fino ai 60. Più semplice la situazione nel settore privato dove si va in pensione a 60 anni e si può decidere di continuare a lavorare fino a 65.
Oggi, a San Marino, è in vigore il sistema a ripartizione, un classico dei paesi dove esiste lo stato sociale. Nato nel dopoguerra, questo sistema solidaristico oggi è in crisi ovunque. Con i soldi che versano datori di lavoro e dipendenti si finanziano le pensioni, garantendo prestazioni piuttosto elevate. Il problema si presenta quando diminuiscono i lavoratori ed aumentano i pensionati. Oggi, sul Titano, il rapporto e’ di 4 a 1, anche se sta rapidamente scendendo. Il sindacato ha calcolato che, dal 2006, andranno in pensione diversi dirigenti dell’industria e numerosi funzionari pubblici, ai quali spetteranno prelievi consistenti. Insomma nulla gioca a favore della salute del fondo pensionistico. A ottobre di quest’anno, sono state pagate complessivamente, 8.242 pensioni.
Il deficit primario del fondo, vale a dire la differenza fra entrate e uscite, registra un rosso crescente: nel 2003 era di 4 milioni 483mila euro. Lo scoro anno e’ arrivato a 9 milioni 487 mila, la previsione di deficit per il 2005 e’ di 14 milioni 918mila euro. Il buco viene coperto, per legge, con i contributi figurativi, il trasferimento dall’attivo del fondo assegni famigliari e il concorso dello Stato. Questo permette non solo di raggiungere il pareggio ma di accantonare, come e’ avvenuto nel 2003, oltre 6 milioni di euro che vanno a formare il fondo di riserva. In questo fondo, a tutt’oggi, ci sono 161 milioni di euro, qualcosa come 300 miliardi delle vecchie lire che vengono investiti in pronti contro termine e nei Titano found, i fondi di investimento dello Stato.
Cifra fissa solo per la pensione minima che e’ di 842 euro al mese. Infatti la pensione di vecchiaia viene calcolata sulla media dello stipendio lordo percepito negli ultimi 5 anni di lavoro.
Ogni mese, dalla busta paga dei dipendenti , viene prelevata una percentuale pari all’11,9 destinata al fondo pensioni. L’1,6 e’ a carico del lavoratore, il 10,3 lo versa il datore di lavoro.
Ma quando si va in pensione? La legge varata tre anni fa stabilisce che tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1 gennaio 2002 andranno in pensione a 65 anni. La regola vale per uomini e donne, per dipendenti pubblici e privati. L’età pensionabile per chi già lavora è invece fissata dal tipo di occupazione. Nel settore pubblico, i dipendenti in organico, usufruiscono della cosiddetta pensione di anzianità, pari a 35 anni di servizio. Si parte dal 21esimo anno di età e si può essere pensionati a 56 anni, con la possibilità di continuare fino a 60, dopodiché la pensione diventa obbligatoria. Se invece non ci sono i 35 anni di servizio si può lavorare fino ai 65.
Sempre nel settore pubblico, con contratto privatistico, l’età della pensione è fissata a 65 anni, qui l’eccezione riguarda gli integrativi –obbligati al pensionamento al 60esimo anno di età – e il corpo di polizia civile in pensione, obbligatoriamente, a 53 anni, mentre gli agenti di gendarmeria e guardia di rocca possono proseguire fino ai 60. Più semplice la situazione nel settore privato dove si va in pensione a 60 anni e si può decidere di continuare a lavorare fino a 65.
Oggi, a San Marino, è in vigore il sistema a ripartizione, un classico dei paesi dove esiste lo stato sociale. Nato nel dopoguerra, questo sistema solidaristico oggi è in crisi ovunque. Con i soldi che versano datori di lavoro e dipendenti si finanziano le pensioni, garantendo prestazioni piuttosto elevate. Il problema si presenta quando diminuiscono i lavoratori ed aumentano i pensionati. Oggi, sul Titano, il rapporto e’ di 4 a 1, anche se sta rapidamente scendendo. Il sindacato ha calcolato che, dal 2006, andranno in pensione diversi dirigenti dell’industria e numerosi funzionari pubblici, ai quali spetteranno prelievi consistenti. Insomma nulla gioca a favore della salute del fondo pensionistico. A ottobre di quest’anno, sono state pagate complessivamente, 8.242 pensioni.
Il deficit primario del fondo, vale a dire la differenza fra entrate e uscite, registra un rosso crescente: nel 2003 era di 4 milioni 483mila euro. Lo scoro anno e’ arrivato a 9 milioni 487 mila, la previsione di deficit per il 2005 e’ di 14 milioni 918mila euro. Il buco viene coperto, per legge, con i contributi figurativi, il trasferimento dall’attivo del fondo assegni famigliari e il concorso dello Stato. Questo permette non solo di raggiungere il pareggio ma di accantonare, come e’ avvenuto nel 2003, oltre 6 milioni di euro che vanno a formare il fondo di riserva. In questo fondo, a tutt’oggi, ci sono 161 milioni di euro, qualcosa come 300 miliardi delle vecchie lire che vengono investiti in pronti contro termine e nei Titano found, i fondi di investimento dello Stato.
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