Domenica 30 aprile si vota per le primarie del Partito Democratico, per decidere cioè il leader che alle prossime politiche concorrerà come presidente del Consiglio. In pole position c'è ancora Matteo Renzi.
Potrebbero essere le primarie meno partecipate nella storia del Pd, tanto che il favorito, sempre lui, Matteo Renzi, ha già ridimensionato le aspettative e parla di buon risultato se almeno un milione di persone andasse a votare, mentre uno dei suoi due avversari, Andrea Orlando, resta dell'opinione che, se votassero meno di due milioni, sarebbe un clamoroso flop.
Renzi si presenta da ex presidente del consiglio, ex segretario di partito e anche da ex rottamatore, parola che non può più usare da quando la madre di tutte le riforme, quella costituzionale, gli è stata rispedita al mittente lo scorso dicembre. Ma continua ad essere il favorito nella corsa a tre. Dietro di lui, si diceva, Andrea Orlando, attuale ministro della Giustizia, pacato uomo di partito cui spetta il compito di tenere ancora unita l'ala più a sinistra del Pd, dopo la fuoriuscita dei pezzi da novanta come Bersani e D'Alema. Con questi ultimi, Renzi ha già fatto sapere di non volersi alleare in caso di vittoria alle politiche, mentre Orlando, dal canto suo, ha ribadito che chiederebbe agli elettori con un referendum se andare al governo con Berlusconi o con Pisapia. Terzo candidato, molto più distaccato nei sondaggi rispetto ai primi due, Michele Emiliano, che parla di “sciagura” se dovesse vincere ancora Renzi, e che gli promette aspra opposizione interna. Nell'ultimo appello al voto, Renzi ha ricordato: “Siamo l'unico partito che non decide con un clic sul blog o ad Arcore. Per questo non dico votate Renzi, ma andate a votare”.
Francesca Biliotti
Potrebbero essere le primarie meno partecipate nella storia del Pd, tanto che il favorito, sempre lui, Matteo Renzi, ha già ridimensionato le aspettative e parla di buon risultato se almeno un milione di persone andasse a votare, mentre uno dei suoi due avversari, Andrea Orlando, resta dell'opinione che, se votassero meno di due milioni, sarebbe un clamoroso flop.
Renzi si presenta da ex presidente del consiglio, ex segretario di partito e anche da ex rottamatore, parola che non può più usare da quando la madre di tutte le riforme, quella costituzionale, gli è stata rispedita al mittente lo scorso dicembre. Ma continua ad essere il favorito nella corsa a tre. Dietro di lui, si diceva, Andrea Orlando, attuale ministro della Giustizia, pacato uomo di partito cui spetta il compito di tenere ancora unita l'ala più a sinistra del Pd, dopo la fuoriuscita dei pezzi da novanta come Bersani e D'Alema. Con questi ultimi, Renzi ha già fatto sapere di non volersi alleare in caso di vittoria alle politiche, mentre Orlando, dal canto suo, ha ribadito che chiederebbe agli elettori con un referendum se andare al governo con Berlusconi o con Pisapia. Terzo candidato, molto più distaccato nei sondaggi rispetto ai primi due, Michele Emiliano, che parla di “sciagura” se dovesse vincere ancora Renzi, e che gli promette aspra opposizione interna. Nell'ultimo appello al voto, Renzi ha ricordato: “Siamo l'unico partito che non decide con un clic sul blog o ad Arcore. Per questo non dico votate Renzi, ma andate a votare”.
Francesca Biliotti
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