Il re ha sette corone, come il suo idolo Pete Sampras. Solo loro così tante volte padroni di Wimbledon, solo loro così tante volte in festa davanti al royal box. Ma il regno di Roger ha longevità maggiore rispetto a quello dell’americano. Dura dal 2003 seppur con brevi interruzioni. Ma il campolavoro del campione non è riprendersi una cosa in qualche modo sua. E’ ritornare numero uno del mondo, quando sulla soglia dei 32 è logico pensare che il meglio sia già stato consegnato ai libri di storia sportiva. E’ talmente il più grande che ad un certo punto tutto Wimbledon tifava per lui quasi dimenticando che in finale c’era Andy Murray. Scozzese. Il primo britannico dopo 74 anni a raggiungere l’ultimo atto dei championship. E’partito sparato, ha vinto il primo set, sfiorando quasi la lesa maestà. Poi i colpi di Federer hanno riportato tutto dove la storia voleva. In 3 ore e 24 minuti. In 4 set. E questo ex ragazzone, oggi uomo sportivamente quasi stagionato, è già in campo a preparare l’Us Open. Djokovic sul cemento va rispettato. Non temuto. La paura non fa parte chi per 7 volte ha trionfato sull’erba londinese.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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