Scoperta una molecola che 'ringiovanisce' il cervello bloccando l'Alzheimer nella prima fase: è l'anticorpo A13, che favorisce la nascita di nuovi neuroni contrastando così i difetti che accompagnano le fasi precoci della malattia. Lo studio, italiano, è stato effettuato su topi che, così trattati, hanno ripreso a produrre neuroni ad un livello quasi normale.
Benedetta de Mattei ha intervistato il Prof. Camillo Marra – Direttore U.O. Clinica della Memoria del Policlinico Agostino Gemelli di Roma e Docente presso Istituto di Neurologia dell'Università Cattolica – per capire in cosa consiste la malattia dell’Alzheimer e quali sono i sintomi che annunciano l’arrivo della malattia.
Cos’è l’Alzheimer?
La malattia di Alzheimer è la più frequente forma di demenza e rappresenta oltre il 55% dei casi. E’ una malattia del cervello che provoca un lento e progressivo decadimento delle funzioni cognitive, fino ad interferire gravemente con la vita quotidiana. Esordisce prevalentemente dopo i 65 anni ma nelle forme giovanili, anche se più rare, i sintomi possono iniziare ad affacciarsi a partire dai 50 anni.
Quante persone colpisce?
In Italia ci sono almeno un milione di persone con demenza a vario livello e la metà sono affette da Alzheimer. Nel mondo ne sono colpite circa 50 milioni, con maggiore incidenza in Europa, Giappone e Nord America; ma le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dicono che Africa, Sudamerica e Cina diventeranno probabilmente la maggiore fonte di demenze nei prossimi 30 anni, e nel 2050 si prevede che solo in Cina ci saranno 60 milioni di persone affette da questo disturbo.
Quali sono i sintomi a cui fare attenzione?
Il sintomo che caratterizza la fase iniziale dell’Alzheimer è la perdita di memoria, che si manifesta con difficoltà a ricordare informazioni ed eventi recenti. Inizialmente il paziente ricorda cose apprese anni prima l’esordio della malattia ma ha difficoltà ad acquisire nuove informazioni e fissarle in memoria. Nella fase successiva il disturbo diventa più pervasivo perché il paziente comincia a dimenticare anche fatti più antichi della sua vita personale, non riconosce luoghi e persone a lui familiari, il linguaggio si impoverisce, non ha iniziativa e diventa apatico.
Nelle fasi più avanzate perde anche delle capacità funzionali che gli impediscono di svolgere compiti semplici come caricare una macchinetta da caffè e dopo 6-8 anni di malattia si arriva a questa fase afasica, amnesica e aprassica. Il quadro è costantemente caratterizzato da disturbi comportamentali che variano e si alternano nel corso della patologia: ansia, sintomi apatici e depressivi caratterizzano soprattutto le fasi iniziali mentre con il progredire della malattia, possono comparire psicosi, agitazione e disturbi della sfera neurovegetiva che portano il paziente ad avere problemi con l’alimentazione e a dormire poco. Possono svilupparsi inoltre paure, come quella di essere danneggiato, deliri, di furto perché non si ritrovano le cose in casa, di abbandono, perché non avendo una corretta percezione del tempo dopo 5 minuti che si resta soli si è convinti di esser stati abbandonati. Nella fase finale si arriva all’apatia più completa e il paziente può essere molto piatto e inerte.
Esistono dei fattori di rischio?
I fattori di rischio che predispongono allo sviluppo della malattia, sono di vario tipo e possono innanzitutto essere legati all’età e alla familiarità. Esiste poi un fattore di rischio genetico per cui chi è portatore del gene APO-e4 ha un rischio 4 volte maggiore di sviluppare la malattia.
Altri fattori sono un errato stile di vita, ipertensione, fumo, diabete, obesità, ipercolesterolemia, sedentarietà, scarsa socialità e attività cognitive e motorie molto limitate.
Una quotidiana attività fisica e una sana alimentazione, a carattere prevalentemente vegetale, l’allenamento mentale e la cura dei rapporti sociali, non fumare e prendersi cura della salute cardiovascolare, aiutano sicuramente a prevenire questa patologia
Quale dieta per mantenere un cervello sano?
Molti dati arrivano dagli studi scandinavi, che hanno dimostrato che l’associazione di una dieta con un adeguato movimento aerobico tre volte a settimana previene l’evoluzione della demenza di Alzheimer in soggetti predisposti. Tutti gli alimenti ad alto indice glicemico sono potenzialmente dannosi e la restrizione calorica è il dato più ripetutamente citato in letteratura come protettivo delle patologie neurodegenerative a cardiovascolari.
Cosa consiglia alle famiglie che affrontano l’Alzheimer?
La prima cosa è non spaventarsi, davanti a un sospetto iniziale di Alzheimer bisogna subito intervenire portando il paziente dal neurologo o dal geriatra, che effettuerà una valutazione del problema. Anche se attualmente non esistono farmaci risolutivi, una diagnosi precoce è in grado di modificare la storia di vita della malattia. Mettendo in atto tutta una serie di provvedimenti preventivi ed agendo sugli aspetti riguardanti lo stile di vita del paziente è possibile rallentare la progressione della malattia. Inoltre nella fase iniziale i farmaci sintomatici che abbiamo a disposizione se dati precocemente, nonostante non curino la malattia, permettono al paziente di mantenere delle autonomie funzionali più a lungo.
A breve probabilmente saranno messi in commercio farmaci che dovrebbero agire sul processo neuropatologico e quindi bloccare la malattia. Se si dimostrassero efficaci, è ovvio anche in questo caso, che lo saranno maggiormente se assunti precocemente.
Benedetta de Mattei