A caldo prevale la rabbia, la frustrazione, il senso di vergogna. La condanna di Suu Kyi è la condanna della democrazia. Ma bisogna analizzare con freddezza questo verdetto. Annunciato, peraltro. La giunta golpista dei generali birmani ha raggiunto il suo scopo, la Signora – come tutti la chiamano – non potrà partecipare alle elezioni politiche del 2010. Elezioni che giungeranno dopo circa venti anni e circa venti anni fa Suu Kyi le aveva vinte con oltre il settanta per cento dei consensi. Il suo popolo aveva sfidato apertamente la dittatura, pronto probabilmente a rifarlo, anche questa volta. Allora i generali a posteriori avevano annullato quel risultato elettorale – non scriveva Orwell che aveva conosciuto la Birmania, se i fatti dicono il contrario, bisogna alterare i fatti? – ora i generali hanno giocato d’anticipo, hanno cambiato il presupposto dei fatti. Saranno elezioni farsa, l’unico antagonista, Suu Kyi, rimane escluso. Questa plateale sfida ai principi del diritto e ai diritti umani e civili pone una questione internazionale. La Birmania ha un seggio all’Onu e fa parte dell’Asean, l’associazione dei paesi del sud-est asiatico. Se il meccanismo delle sanzioni fin qui non ha funzionato, se per molto meno la comunità delle nazioni è intervenuta negli affari interni di altri stati, se si è arrivati alla guerra addirittura - si è detto - contro le dittature, non sarebbe ora finalmente di dare un segnale forte sulla questione birmana? Le prime reazioni sono di collera, ed è già qualcosa. L’auspicio di ogni libera coscienza è che si faccia di più. Nel nome di Suu Kyi e di un popolo che ha dimostrato di non aver paura e che va aiutato.
Siamo in tempo di vacanze, anzi a ridosso di Ferragosto – auguri – ma la coscienza non va in ferie. La difesa della libertà resta il problema di tutti.
Carmen Lasorella
Siamo in tempo di vacanze, anzi a ridosso di Ferragosto – auguri – ma la coscienza non va in ferie. La difesa della libertà resta il problema di tutti.
Carmen Lasorella
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