Dopo il vertice di Helsinki, la credibilità di Donald Trump nei Paesi del Golfo vacilla. Gli equilibri e le alleanze in Medio Oriente stanno vivendo un periodo di forte instabilità e confusione, a causa anche, come hanno ampiamente evidenziato in questi giorni i media locali, dei continui cambi di direzione degli Stati Uniti.
L'ultimo riguarda un tema delicato come la Siria, uno dei punti discussi da Trump e Putin durante il loro incontro, e che qui negli Emirati ha sollevato interrogativi e dubbi sulla reale linea sostenuta dal presidente americano e sulla sua affidabilità: se Trump si trovava schierato accanto ai Paesi del Golfo contro il regime di Assad, sembra ora in parte sostenere la linea portata avanti dalla Russia, che prevede al contrario l'appoggio e la sopravvivenza al potere del presidente siriano.
A questo punto, qui ci si chiede che cosa possa accadere su altre questioni cruciali per il Medio Oriente, come l'Iran, alleato storico di Mosca, ma nemico numero uno di Arabia Saudita, e sulla questione palestinese. L'amministrazione Trump si era posta come attore principale, sostenuta dai Paesi del Golfo, per un piano di pace in Israele, i cui dettagli si attendevano per la metà di giugno, dopo la fine del Ramadan, ma che in effetti non sono ancora stati resi noti.
E dopo la ratifica da parte del Parlamento israeliano della legge che definisce Israele "Stato-nazione del popolo ebraico", e che, tra le altre cose, dichiara Gerusalemme capitale di Israele, adotta il calendario ebraico come ufficiale, l'ebraico come lingua nazionale e definisce gli insediamenti israeliani necessari per l'interesse nazionale, una soluzione al conflitto che possa coinvolgere i Paesi del Golfo sembra sempre più lontana.
Come previsto, la decisione del Parlamento israeliano è stata duramente condannata da parte del governo emiratino. Il ministro degli esteri Anwar Gargash ha infatti dichiarato che la legge israeliana “sancisce le pratiche razziste portate avanti contro i palestinesi” e indebolisce un'eventuale soluzione a due Stati. E in attesa delle prossime mosse di Trump, "la necessità di intensificare lo sforzo politico congiunto arabo - ha sottolineato ancora il ministro emiratino - alla luce di questi rapidi sviluppi è diventato fondamentale".
dalla nostra corrispondente Elisabetta Norzi
L'ultimo riguarda un tema delicato come la Siria, uno dei punti discussi da Trump e Putin durante il loro incontro, e che qui negli Emirati ha sollevato interrogativi e dubbi sulla reale linea sostenuta dal presidente americano e sulla sua affidabilità: se Trump si trovava schierato accanto ai Paesi del Golfo contro il regime di Assad, sembra ora in parte sostenere la linea portata avanti dalla Russia, che prevede al contrario l'appoggio e la sopravvivenza al potere del presidente siriano.
A questo punto, qui ci si chiede che cosa possa accadere su altre questioni cruciali per il Medio Oriente, come l'Iran, alleato storico di Mosca, ma nemico numero uno di Arabia Saudita, e sulla questione palestinese. L'amministrazione Trump si era posta come attore principale, sostenuta dai Paesi del Golfo, per un piano di pace in Israele, i cui dettagli si attendevano per la metà di giugno, dopo la fine del Ramadan, ma che in effetti non sono ancora stati resi noti.
E dopo la ratifica da parte del Parlamento israeliano della legge che definisce Israele "Stato-nazione del popolo ebraico", e che, tra le altre cose, dichiara Gerusalemme capitale di Israele, adotta il calendario ebraico come ufficiale, l'ebraico come lingua nazionale e definisce gli insediamenti israeliani necessari per l'interesse nazionale, una soluzione al conflitto che possa coinvolgere i Paesi del Golfo sembra sempre più lontana.
Come previsto, la decisione del Parlamento israeliano è stata duramente condannata da parte del governo emiratino. Il ministro degli esteri Anwar Gargash ha infatti dichiarato che la legge israeliana “sancisce le pratiche razziste portate avanti contro i palestinesi” e indebolisce un'eventuale soluzione a due Stati. E in attesa delle prossime mosse di Trump, "la necessità di intensificare lo sforzo politico congiunto arabo - ha sottolineato ancora il ministro emiratino - alla luce di questi rapidi sviluppi è diventato fondamentale".
dalla nostra corrispondente Elisabetta Norzi
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