
Welfare, sostegni economici, congedi e assegni familiari: San Marino prova a correre ai ripari contro il calo delle nascite, ma i numeri restano preoccupanti. Il tasso di fecondità stimato per il 2024 è di 0,824, ben al di sotto del tasso di sostituzione generazionale di 2,1.
Un fenomeno che si conferma strutturale e di lungo periodo, aggravato dalle difficoltà economiche, abitative e lavorative, ma anche da fattori culturali e sociali.
Nuove misure a San Marino
L’ordine del giorno approvato dalle Commissioni consiliari I e IV prevede nuove misure: congedi parentali più flessibili, aumento degli assegni familiari, un fondo per la natalità destinato alle madri disoccupate, ma anche campagne di sensibilizzazione per promuovere la genitorialità, perché - si sottolinea - il welfare da solo non basta. Temi centrali che San Marino RTV aveva già affrontato nel maggio 2024, con due interviste ancora attuali.
Rosina: "Serve conciliazione tra famiglia e lavoro"
Secondo Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e fra i massimi esperti in Italia sulle dinamiche della natalità e delle trasformazioni demografiche, il calo delle nascite sarebbe parte di un più ampio processo di transizione demografica, che ha modificato profondamente il rapporto tra generazioni. La riduzione della mortalità -soprattutto infantile- avrebbe reso sufficienti 2 figli per donna, per garantire la sostituzione generazionale mentre in passato ne servivano circa 5. Questo è certamente un fatto positivo che tuttavia, porta molti Paesi a scendere al di sotto della soglia, come accade da tempo in Italia. Con una fecondità bassa a lungo, la popolazione inizierebbe quindi a diminuire perché le nuove generazioni non sarebbero abbastanza numerose da sostituire le precedenti.
In Italia da 40 anni, cioè dal 1984, il numero medio di figli per donna sarebbe sceso sotto l’1,5 e mai più risalito sopra questa soglia. Tra le cause principali, Rosina indicava l'incertezza economica e lavorativa delle nuove generazioni, l'aumento dell'età al primo figlio e la difficoltà crescente nel conciliare vita lavorativa e familiare:
"I percorsi lavorativi sono più incerti, l'inserimento nel mondo del lavoro è più difficile e il mercato del lavoro richiede un continuo investimento nella formazione. Quindi, l'arrivo di un figlio viene sempre più posticipato fino a quando queste condizioni non siano realizzate. Inoltre, le nuove generazioni non considerano l'avere figli una scelta scontata, come accadeva in passato. Oggi, l’avere figli è spesso un desiderio subordinato a condizioni che permettano di garantire sicurezza e prospettive di miglioramento. In mancanza di tali premesse, come nel caso di trentenni ancora non del tutto autonomi economicamente, con prospettive incerte di lavoro e reddito adeguato, questa scelta viene continuamente rinviata".
Genitorialità e lavoro femminile: un equilibrio difficile
Le donne - oggi più istruite e presenti nel mondo del lavoro - secondo l'esperto necessitano di strumenti strutturati di supporto: asili nido, congedi di paternità che affianchino quelli di maternità, part-time flessibile:
"A differenza degli anni '50 e '60 - quando era sufficiente il reddito di un solo componente della famiglia, il lavoro era stabile e la pensione certa -, oggi è spesso necessario un doppio reddito per mantenere un tenore di vita accettabile. Le donne studiano più a lungo e spesso raggiungono livelli di istruzione più alti rispetto agli uomini, trovando impiego in settori avanzati dove le loro competenze sono valorizzate. Dal momento che - come dicevamo - per formare una famiglia è essenziale che entrambi i partners lavorino e che almeno uno dei due abbia un percorso lavorativo stabile, quando arriva il figlio sono necessari strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia - come servizi per l'infanzia e possibilità di part-time flessibili - altrimenti chi lavora non fa figli e chi fa figli non lavora." Inoltre "oggi, crescere un figlio comporta un investimento significativo in termini di formazione e mantenimento di uno stile di vita adeguato. Senza adeguati sostegni economici alle famiglie e ai giovani lavoratori, che spesso iniziano la loro carriera con salari bassi e contratti precari, il peso economico di un figlio diventa insostenibile. Nei paesi dove esistono misure di supporto la fecondità è più alta, vicina ai due figli per donna: come ad esempio la Francia con una media di 1,8 figli per donna. In Italia, invece, la fecondità è tra le più basse d'Europa, con una media di 1,2 figli per donna, a causa di un investimento insufficiente in politiche di supporto alla famiglia e alla natalità."
Il rischio, secondo Rosina, è quello di cadere in una vera e propria "trappola demografica": meno genitori oggi significa ancora meno figli domani. L’unica strada, sottolineava, è investire su politiche che permettano alle persone di scegliere liberamente se e quando avere figli, senza vincoli o ostacoli strutturali, come accade già in Francia o in Svezia:
"La strada giusta è quella della libera scelta: lo Stato dovrebbe mettere le persone nelle condizioni di fare le scelte che desiderano senza imporre nulla. Gli altri paesi hanno capito l'importanza di creare condizioni favorevoli per chi desidera avere figli, investendo in servizi per l'infanzia e politiche di conciliazione tra vita e lavoro. Questo non solo aiuta le famiglie, ma riduce anche la povertà educativa e favorisce l'occupazione femminile".
Un esempio portato dall'esperto è quello della Svezia - uno dei primi paesi scesi sotto i due figli per donna, dopo aver favorito l'occupazione femminile - che si sarebbe subito accorta di una forte riduzione della natalità e dei problemi conseguenti correndo ai ripari con servizi per l'infanzia e di conciliazione; arrivando adesso ad avere sia un'occupazione femminile ai livelli più alti in Europa, sia una fecondità più alta rispetto alla media europea.
Il costo della rinuncia: meno giovani, meno futuro
Rosina concludeva spiegando che le aziende avrebbero già iniziato ad avvertire mancanza di manodopera e figure lavorative, mentre l'Inps avrebbe problemi a sostenere le spese per pensioni e assistenza.
Ma in futuro le cose andrebbero peggiorando poiché la trappola demografica instaura un vero e proprio circolo vizioso:
"Rende sempre più difficile invertire la tendenza e indebolisce progressivamente la base demografica del paese, mentre la popolazione anziana continua a crescere. Inoltre, con l'aumento della popolazione anziana e la diminuzione di quella giovane, avremo meno capacità di produrre crescita e sviluppo economico. Questo scenario comporta una maggiore richiesta di risorse destinate alle pensioni e all'assistenza per una popolazione anziana sempre più numerosa e fragile. Di conseguenza, avremo meno risorse da investire in politiche di conciliazione lavoro-famiglia, formazione dei giovani e transizione scuola-lavoro, indebolendo ulteriormente la possibilità di invertire la tendenza. Se non interveniamo ora, sarà dunque ancora più difficile farlo in futuro"
Maietta (Censis): "Una crisi demografica già in atto"
Anche Francesco Maietta, responsabile dell'area Consumer del Censis, nella sua intervista aveva tracciato un quadro allarmante. L'Italia ha toccato un nuovo minimo storico con meno di 380mila nati l'anno, rispetto a oltre un milione negli anni '60. Le proiezioni al 2050 parlano di una perdita fino a 8 milioni di persone in età attiva. Maietta evidenziava come il sistema previdenziale italiano sia stato costruito su basi demografiche ormai superate: con sempre meno giovani e sempre più anziani, le fondamenta del welfare rischiano di non reggere. Natalità e popolazione sarebbero la base di un sistema economico solido nel tempo.
Immigrazione e previsioni future
Nemmeno l'immigrazione, spiegava, rappresenta più una variabile di compensazione, poiché gli stili di vita degli immigrati tendono a uniformarsi a quelli italiani, anche nella scelta di non fare figli. La denatalità non è irreversibile, ammoniva, ma richiede interventi coerenti, strutturali e di lungo periodo:
"La demografia è una delle poche scienze che è in grado di prevedere il futuro in modo certo. Lo potevamo prevedere vent'anni fa, il Censis lo aveva più volte detto. Oggi è più difficile, ma non è irreversibile."
Figli e contesto ostile: la responsabilità culturale
Il problema, secondo Maietta, è che oggi avere figli in Italia significa farlo in un contesto ostile: costi elevati, carenza di servizi, carichi familiari ancora sbilanciati sulle donne:
"Chiunque ha figli sa che gestirli - dal punto di vista del costo economico e dell'organizzazione di vita - è oggi una cosa molto complicata, che ricade fondamentalmente sulle donne. E' chiaro che è richiesta una riorganizzazione del sistema dei servizi ma - trattandosi di un aspetto di carattere culturale - anche di una valorizzazione della scelta della genitorialità".
Serve un modello italiano di politiche familiari, che punti su servizi adeguati, sostegni economici, valorizzazione della genitorialità. E non solo per affrontare la questione nascite: una popolazione sempre più anziana comporta anche nuove fragilità, tra cui la gestione della non autosufficienza, oggi lasciata quasi interamente sulle spalle delle famiglie che pagano circa 10 miliardi l'anno per le badanti ed un impegno che ricade anche in questo caso, per l'85% - in termini di tempo e di impegno - sulle donne.
Rileggi le interviste:
Alessandro Rosina, demografo: “Servono politiche strutturali di conciliazione tra famiglia e lavoro”
Francesco Maietta, Censis: “Sempre meno e sempre più anziani: quale futuro?”