In Italia, una persona su 3 è ipertesa, ha cioè valori di pressione sanguigna troppo alti. Durante l’epidemia di Coronavirus molto si è discusso sul legame tra ipertensione e Covid-19.
Benedetta de Mattei ha intervistato il prof. Claudio Borghi – Direttore U.O. Medicina Interna del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna e Direttore Scuola di Specializzazione Medicina d’Emergenza Urgenza presso l’Università di Bologna, per capire quali sono i reali rischi che corrono i pazienti ipertesi.
Quando si parla di “ipertensione”?
L’ipertensione arteriosa è una malattia caratterizzata dalla presenza di una pressione sanguigna più alta del normale che si definisce tale in tutti i pazienti che presentano valori di pressione massima superiori ai 140 e valori di pressione minima superiori ai 90.
Quali potrebbero essere i campanelli d’allarme?
In generale i più comuni sono:
-la cefalea, il fatto che un paziente ne soffra senza averne mai sofferto in precedenza
-la tendenza a stancarsi con maggior facilità, sentendosi più spossati la sera
-una sensazione di instabilità della testa, soprattutto quando la si muove con rapidità o quando si cambia posizione con il corpo, o il sentire la testa più leggera
-disturbi visivi, come difficoltà nel mettere a fuoco o bruciore agli occhi.
Questi sono i sintomi più frequentemente riferiti dai pazienti e, anche se potrebbero essere dovuti a molte altre cause, la comparsa di uno di questi disturbi senza un motivo apparente dovrebbe portare certamente il paziente a misurarsi la pressione.
Quali sono le cause dell’ipertensione?
In circa il 20% dei pazienti esiste una causa identificabile, sono le cosiddette “ipertensioni secondarie”, che in generale hanno un’origine renale o endocrina. Quindi in questi casi l’ipertensione è causata da un’alterazione del rene, per la sua circolazione o per il suo funzionamento come organo depuratore, o da un malfunzionamento delle ghiandole endocrine, in particolare le ghiandole surrenali e la tiroide sono quelle che più comunemente possono causare ipertensione. Il restante 80% dei casi rientra in quella che si chiama comunemente “ipertensione essenziale”, una condizione che non ha una causa apparente ed è probabilmente di origine genetica, anche se questa genetica non è mai stata interamente identificata perché probabilmente più geni contribuiscono ai meccanismi che determinano un aumento della pressione.
Quali sono i fattori di rischio?
Prima di tutto la familiarità, il fatto di essere geneticamente predisposti, di avere un genitore iperteso, aumenta la probabilità di sviluppare l’ipertensione. Il secondo fattore di rischio è l’obesità, poiché l’aumento del peso corporeo comporta un aumento del volume circolante e quindi un aumento significativo della pressione arteriosa. Poi c’è il diabete, i pazienti diabetici o con un’alterazione del profilo glicemico sviluppano con maggiore facilità ipertensione. Un altro fattore di rischio sono le apnee ostruttive notturne, che sono una sindrome identificata in tempi relativamente recenti ma molto più diffusa di quanto si immagini che invariabilmente corrisponde ad un aumento progressivo dei valori di pressione arteriosa. Ci sono infine le modificazioni di tipo dietetico, come ad esempio l’assunzione eccessiva di sale, che possono predisporne allo sviluppo.
Come si cura l’ipertensione arteriosa?
L’ipertensione si può “controllare” e ci sono diverse strategie per farlo. Si può “curare” nel senso stretto della parola, quindi eliminarla come entità clinica, soltanto in alcuni dei pazienti che hanno una forma secondaria perché in questi casi rimuovendo la causa i valori di pressione generalmente tornano alla normalità. In tutti gli altri pazienti, soprattutto nelle forme essenziali, ciò che noi facciamo è controllare i valori di pressione arteriosa, non possiamo cancellare il carattere di fondo anche se ovviamente le strategie non farmacologiche e farmacologiche che mettiamo in atto sono effettivamente in grado di riportare i valori di pressione a un livello corretto. E poiché il rischio cardiovascolare è proporzionale all'aumento della pressione rispetto al normale se noi regolarizziamo la pressione con i farmaci automaticamente riduciamo in maniera significativa il pericolo.
Due sono le strategie sostanziali: la prima sono i cosiddetti interventi non farmacologici, che consistono nelle modificazioni dello stile di vita che, pur essendo numerose, sono principalmente
-La riduzione del sale al di sotto dei 5 g al giorno, la quantità suggerita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità
-Un aumento dell’attività fisica che è molto importante, 30 minuti al giorno di buona camminata per almeno 4-5 giorni alla settimana
-Uno stretto controllo del peso corporeo, perché contribuisce a ridurre in maniera significativa i valori di pressione arteriosa.
-L’abolizione del fumo, che incide a 360 gradi perché purtroppo il fumo, oltre ad essere un’abitudine negativa per tutte le malattie, incide anche sulla pressione arteriosa. I fumatori hanno la pressione più alta e soprattutto dopo ogni sigaretta, per i 30 minuti successivi, la pressione oscilla in maniera maggiore. Quindi non solo c’è un aspetto negativo dal punto di vista cardiovascolare del fumo e delle sue componenti ma c’è anche un effetto acuto del fumo di sigaretta, tanto è vero che le linee guida indicano per una misurazione corretta di astenersi per almeno 30 minuti dal fumo prima di misurare la pressione arteriosa.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica esistono sostanzialmente 5 basi di farmaci universalmente raccomandate da tutte le linee guida nazionali e internazionali che sono: gli ACE- inibitori, i Sartani, i Calcio-antagonisti, i Beta-bloccanti e i Diuretici che sono considerati tipicamente farmaci di prima scelta non perché ci sia un comitato che arbitrariamente li ha eletti come farmaci superiori agli altri ma perché sono quei farmaci per i quali esistono studi di intervento che dimostrano la capacità non solo di ridurre la pressione ma anche di diminuire le complicanze cardiovascolari e la mortalità per ipertensione.
Se ho una pressione 90/140, cosa devo fare?
È una pressione che innanzitutto deve essere sottoposta ad un attento monitoraggio per confermare che si tratti realmente di un valore potenzialmente patologico, perché anche uno stress momentaneo può far salire la pressione che poi tornerà alla normalità. Quindi la prima regola è misurarsela sistematicamente, per un certo periodo di tempo, per avere conferma che ci si trovi davanti a valori di pressione stabilmente elevati. Il secondo passo è intervenire sugli stili vita, e valutare l’impatto che modificazioni dello stile di vita possano avere sulla riduzione della pressione; nel caso in cui la pressione si confermi alta e la modificazione dello stile di vita risulti inefficace, naturalmente il terzo step è l’intervento da un punto di vista farmacologico. Quello che è importante è che, a parte i casi di pazienti con patologie cardiovascolari concomitanti o qualche raro caso in cui l’aumento di pressione è particolarmente violento, è bene avere coscienza dei propri valori della pressione arteriosa e intervenire in maniera appropriata, tenendo conto che non c’è nessuna necessità di normalizzare la pressione nel giro di poche ore ma che lo si può fare dopo una valutazione dell’effettiva esistenza di ipertensione e utilizzando queste strategie in maniera sequenziale.
Si è parlato molto di ipertensione come fattore di rischio per il Covid-19, che legame esiste?
Si è molto discusso sul fatto che i pazienti ipertesi abbiano una maggiore probabilità di ammalarsi di covid-19, il che non è affatto vero, un numero maggiore di pazienti ipertesi rispetto ai pazienti normotesi è semplicemente dato dall'età media dei pazienti affetti da Coronavirus che è ultrasettantenne, e in questa fascia d’età la presenza di ipertensione è di circa 7 persone su 10 L’altro aspetto invece è se i pazienti ipertesi una volta infettati abbiano una prognosi peggiore, in questo caso probabilmente la risposta è affermativa, anche se il fenomeno non ha le dimensioni che erano state generate all’inizio della pandemia quando si è immaginava che ipertensione e diabete fossero una sorta di condanna ineluttabile. Certamente molto dell’impatto sfavorevole è legato anche in questo caso all’età perché i pazienti più anziani oltre ad esser più ipertesi hanno anche complicanze legate all'età, però c’è anche da dire che l’ipertensione è un fattore che in qualche modo influisce negativamente sull'apparato cardiovascolare quindi un’infezione da coronavirus su un apparato cardiovascolare meno circolante ovviamente può generare complicanze maggiori. Concludendo sicuramente l’ipertensione può avere un ruolo nell'influenzare la prognosi dei pazienti affetti da covid-19 ma allo stesso tempo l’ipertensione non ha nessuna influenza sulla probabilità di ammalarsi.
Benedetta de Mattei