Sembrava ormai persa ogni speranza quando l'inviato speciale dell'Onu Staffan de Mistura, al termine dell'incontro del Gruppo di Supporto internazionale sulla Siria, aveva definito la riunione “lunga, difficile e deludente”. Ma forse non tutto è perduto. Proprio oggi è stata diffusa la notizia che John Kerry, e Serghiei Lavrov, si incontreranno nuovamente a New York per tentare di trovare un accordo sulla tregua. Il primo, devastante, colpo all'accordo faticosamente raggiunto a Ginevra il 10 settembre, era arrivato sabato scorso, quando aerei della coalizione a guida americana avevano bombardato decine di soldati dell'Esercito siriano a Deir El Zor: località da anni assediata dai terroristi dell'ISIS. “Un errore” - era stato detto dagli Stati Uniti –, ma Mosca aveva parlato di attacco deliberato. Poi la vicenda del convoglio umanitario dell'ONU colpito e incendiato alle porte di Aleppo. Washington aveva puntato il dito prima sull'aviazione siriana, poi su quella russa. Accuse respinte con sdegno dai due Governi che avevano ipotizzato – piuttosto – una responsabilità diretta delle milizie qaediste, che proprio in quel settore stavano conducendo un'offensiva contro i governativi. Lo stesso Ramzy Ezzeldin Ramzy, portavoce dell’inviato delle Nazioni Unite, ha poi dichiarato che l'ONU non ha elementi per confermare che l’attacco sia stato causato da un raid aereo. Nel frattempo, in Siria, si continua a combattere. Non confermata, da fonti indipendenti, la notizia dell'utilizzo di munizioni al fosforo nell'area di Aleppo controllata dall'opposizione. Mentre Assad, in un'intervista, dichiara che la guerra si trascinerà ancora per un periodo indefinito di tempo, se Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia e Qatar continueranno a rifornire di armi i ribelli.
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