L’ intenzione era già manifestata in un articolo di Roberto Ciavatta sul mensile di RETE nel numero di maggio-giugno 2015 dal titolo “R come Rinnovamento”.
Settembre dunque comincerà con un segnale importante di avvicendamento dei ruoli: senza tante parole, se c’è una responsabilità alla quale ci sentiamo chiamati, è quella di essere esempio di una politica diversa. Non intendiamo per forza migliore (sarà il tempo a dirlo) ma diversa.
Per RETE l’avvicendamento di ruoli ed incarichi rappresenta un’importante occasione, definita sin dalla nascita del Movimento nel 2012: da allora la rotazione degli incarichi ci sembrava un fattore fondamentale di formazione e pari opportunità, nonché strumento utile per prevenire la concentrazione di potere ed informazioni nelle mani di pochi.
Per questo lo statuto di RETE prevede anche, ad ulteriore esempio, un mandato limitato a 13 anni per i consiglieri: non è tanto il numero ad essere determinante, quanto la logica di stabilire che esiste un arco di tempo sufficiente per realizzare i propri propositi per poi lasciare spazio ad altri che nel frattempo devono essere stati formati. Ci crediamo talmente che abbiamo inserito la temporaneità di tale mandato anche nei progetti di legge di riforma costituzionale depositati.
Questo per RETE non è considerato un limite ma nasce esattamente dalla volontà di creare nuove opportunità: RETE è un Movimento e alternare i ruoli non significa rinunciare agli obiettivi del gruppo ma mettersi in gioco diversamente per raggiungerli.
Per questo, a chi ce lo ha chiesto o ce lo chiederà, non solo l’avvicendamento del ruolo di capogruppo non è conseguenza di una crisi o di un particolare avvenimento, al contrario è un passaggio benefico e fondamentale che fa dell’esempio pratico ciò che dovrebbe a nostro avviso essere normalità.
Oltre a quello già citato della formazione, l’approccio della rotazione degli incarichi permette di prevenire la possibilità che a determinati ruoli corrisponda l’accesso di determinate informazioni da usare a proprio piacimento, col rischio di creare una distanza tra gruppo consigliare e attivisti.
Inoltre in questo modo nessuno è rappresentante di se stesso, ma è parte di un disegno più ampio che fissa negli obiettivi di gruppo i propri orizzonti.
Certo, queste non sono che alcune delle conseguenze positive a questo approccio che in realtà nasce dal semplice assunto del “gioco di squadra”, delle pari opportunità con cui ognuno può naturalmente fornire il proprio apporto mettendo in gioco la propria voglia di fare e le proprie capacità. Dev’essere anche per questo che RETE conta una così diffusa parità di genere, dal momento che non si seguono regole di quote calate dall’alto quanto la semplice logica della libertà di intervento.
Ad esempio il dimissionario capogruppo Roberto Ciavatta, il nostro Roberto, ha dimostrato con i fatti di essere un componente essenziale di RETE, esattamente come lo è ogni attivista, seppur con caratteristiche, approcci e competenze diverse. E continuerà a farlo, pur non essendo più capogruppo e dimostrando come non siano i ruoli a determinare persone e prospettive.
Forse questo servirà anche per facilitare il dialogo con chi alle elezioni del 2012 ha avuto il mandato di cambiamento di questo paese? Di certo a nostro avviso il mandato è soprattutto dei movimenti, che hanno oggi più che mai un ruolo fondamentale di spartiacque rispetto ad un modo di fare politica tipico dei partiti e da cui eventuali “parti buone” avrebbero già da tempo dovuto prendere distanza. RETE non ha di certo intenzione di essere funzionale ad un sistema che tenti di ridare verginità a qualcuno di loro: capiamo la difficoltà di comprendere le nostre logiche, ma per RETE la coerenza al nostro mandato è l’unica risposta di fronte ad un governo allargato che serra i ranghi ed estende i propri inviti ingolosendo chi è affascinato dalle loro regole del gioco.
Ciò che va saldato a nostro avviso non sono infatti i compiti e le poltrone, ma le prospettive di un paese che necessita anche di rivedere le logiche alla base della creazione di una classe politica, per accomunare di nuovo e coerentemente il concetto di responsabilità a quello dell’esempio e dell’azione.
Settembre dunque comincerà con un segnale importante di avvicendamento dei ruoli: senza tante parole, se c’è una responsabilità alla quale ci sentiamo chiamati, è quella di essere esempio di una politica diversa. Non intendiamo per forza migliore (sarà il tempo a dirlo) ma diversa.
Per RETE l’avvicendamento di ruoli ed incarichi rappresenta un’importante occasione, definita sin dalla nascita del Movimento nel 2012: da allora la rotazione degli incarichi ci sembrava un fattore fondamentale di formazione e pari opportunità, nonché strumento utile per prevenire la concentrazione di potere ed informazioni nelle mani di pochi.
Per questo lo statuto di RETE prevede anche, ad ulteriore esempio, un mandato limitato a 13 anni per i consiglieri: non è tanto il numero ad essere determinante, quanto la logica di stabilire che esiste un arco di tempo sufficiente per realizzare i propri propositi per poi lasciare spazio ad altri che nel frattempo devono essere stati formati. Ci crediamo talmente che abbiamo inserito la temporaneità di tale mandato anche nei progetti di legge di riforma costituzionale depositati.
Questo per RETE non è considerato un limite ma nasce esattamente dalla volontà di creare nuove opportunità: RETE è un Movimento e alternare i ruoli non significa rinunciare agli obiettivi del gruppo ma mettersi in gioco diversamente per raggiungerli.
Per questo, a chi ce lo ha chiesto o ce lo chiederà, non solo l’avvicendamento del ruolo di capogruppo non è conseguenza di una crisi o di un particolare avvenimento, al contrario è un passaggio benefico e fondamentale che fa dell’esempio pratico ciò che dovrebbe a nostro avviso essere normalità.
Oltre a quello già citato della formazione, l’approccio della rotazione degli incarichi permette di prevenire la possibilità che a determinati ruoli corrisponda l’accesso di determinate informazioni da usare a proprio piacimento, col rischio di creare una distanza tra gruppo consigliare e attivisti.
Inoltre in questo modo nessuno è rappresentante di se stesso, ma è parte di un disegno più ampio che fissa negli obiettivi di gruppo i propri orizzonti.
Certo, queste non sono che alcune delle conseguenze positive a questo approccio che in realtà nasce dal semplice assunto del “gioco di squadra”, delle pari opportunità con cui ognuno può naturalmente fornire il proprio apporto mettendo in gioco la propria voglia di fare e le proprie capacità. Dev’essere anche per questo che RETE conta una così diffusa parità di genere, dal momento che non si seguono regole di quote calate dall’alto quanto la semplice logica della libertà di intervento.
Ad esempio il dimissionario capogruppo Roberto Ciavatta, il nostro Roberto, ha dimostrato con i fatti di essere un componente essenziale di RETE, esattamente come lo è ogni attivista, seppur con caratteristiche, approcci e competenze diverse. E continuerà a farlo, pur non essendo più capogruppo e dimostrando come non siano i ruoli a determinare persone e prospettive.
Forse questo servirà anche per facilitare il dialogo con chi alle elezioni del 2012 ha avuto il mandato di cambiamento di questo paese? Di certo a nostro avviso il mandato è soprattutto dei movimenti, che hanno oggi più che mai un ruolo fondamentale di spartiacque rispetto ad un modo di fare politica tipico dei partiti e da cui eventuali “parti buone” avrebbero già da tempo dovuto prendere distanza. RETE non ha di certo intenzione di essere funzionale ad un sistema che tenti di ridare verginità a qualcuno di loro: capiamo la difficoltà di comprendere le nostre logiche, ma per RETE la coerenza al nostro mandato è l’unica risposta di fronte ad un governo allargato che serra i ranghi ed estende i propri inviti ingolosendo chi è affascinato dalle loro regole del gioco.
Ciò che va saldato a nostro avviso non sono infatti i compiti e le poltrone, ma le prospettive di un paese che necessita anche di rivedere le logiche alla base della creazione di una classe politica, per accomunare di nuovo e coerentemente il concetto di responsabilità a quello dell’esempio e dell’azione.
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