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Roberto Ercolani: La mia storia con il COVID-19

24 mar 2020
Roberto Ercolani: La mia storia con il COVID-19


Il 6 Marzo, mi sono svegliato con qualche linea di febbre (37,2) e un po’ di raucedine. Senza esitazione, ho disdetto gli appuntamenti della giornata. Ho seguito il protocollo che era stato disposto (anche se non avevo superato i 37,5°) e ho chiamato il mio medico di base, avvisandolo di quanto mi stava accadendo. La dott.ssa, dopo una intervista telefonica, mi ha prescritto una cura preventiva per l’influenza (fluidificante per il muco, fermenti, antipiretici, pastiglie per affrontare una possibile nausea) chiedendomi di tenerla aggiornata sull’evolversi della situazione e consigliandomi l’autoquarantena che avevo già iniziato.
Il venerdì la mia temperatura ha avuto una variazione tra 36,8 e 37,8 e la sera un po’ di nausea con vomito. Presa una compressa di Levosulpiride non ho più avuto nausee. Il giorno successivo la febbre ha avuto una variazione tra 37,4 e 38,4. Il lunedì sono arrivato a 39,4 e nei giorni successivi la temperatura è sempre stata attorno ai 38 gradi. A casa, avevo a disposizione un piccolo saturimetro, che ho utilizzato per tenere sotto controllo l’ossigeno nel sangue. La variazione del mio ossigeno per tutta la settimana è stata tra 92 e 97 (in una situazione di normalità dovrebbe essere tra 97 e 100). Dopo una settimana dall’esordio (seguito telefonicamente dal mio medico di base) venerdì 13 marzo, non avendo avuto segni di miglioramento, il mio medico, mi ha informato che al peggiorare della situazione avrei dovuto immediatamente chiamare la Guardia Medica o se così non fosse stato, ci saremmo aggiornati il lunedì al suo rientro in ambulatorio. Sfortunatamente la mattina di sabato (8 giorni dopo l’esordio) mi sono svegliato con la saturazione a 82 e la febbre a 38,8. Così dopo aver preso un antipiretico per abbassare la febbre che è arrivata a 36,5 ma continuando ad avere la saturazione bassa che variava tra 87 e 90, nel pomeriggio ho contattato la guardia medica la quale mi ha richiesto di andare immediatamente in Pronto Soccorso per un possibile ricovero da coronavirus. Così è stato. Appena presentatomi in PS, mi hanno preso i parametri, fatto analisi del sangue, l’emogas, tampone e TAC ai polmoni, dopo circa mezz’ora ero in isolamento nel reparto creato ad hoc per questa emergenza. Il medico, mi disse che il risultato del tampone lo avremmo avuto il giorno successivo, ma che i sintomi erano già sufficienti per far prevedere il fatto che fossi stato contagiato. Mi suggerì, quindi, di intraprendere da subito la terapia sperimentale antiretrovirale (la stessa usata in Cina). Domenica 15 Marzo ho avuto conferma di essere positivo al virus e immediatamente ho contattato tutte le persone che potevo contattare, che avevo incontrato nei 14 giorni precedenti dall’esordio dei sintomi, in modo che potessero a loro volta mettersi in contatto con il numero dedicato e seguire le indicazioni anticontagio. Intanto io continuavo la mia terapia e per 3 giorni ho avuto un apporto continuo (giorno e notte) di ossigeno, per mantenere la saturazione a livelli accettabili. Il martedì (17 marzo) col medico si è deciso di sospendere l’ossigeno, per riabituare i polmoni a respirare in aria normale con la volontà di farmi continuare l’isolamento a casa, il prima possibile. Si potrebbe pensare che questa procedura possa essere azzardata, ma non è così.
L’ambiente ospedaliero di isolamento, è un ambiente sicuro, ma per definizione asettico e quindi freddo (non a livello di temperatura ma a per quanto riguarda l’emotività). Le stanze singole, il più possibile sanificate, la non possibilità di avere contatti con esterni, la distanza obbligatoria che devono mantenere tutti gli operatori sanitari (indicazione di entrare il meno possibile in stanza e solo completamente protetti dai dispositivi di protezione individuale: calzari, tuta, guanti, visiera, mascherina, copricapo) fa si che la permanenza sia in completa solitudine affettiva ed emotiva. Io sono psicologo, e ho visto negli occhi di tutti gli operatori sanitari, l’umanità di ciò che stavano facendo e allo stesso tempo il dolore di non poter sostenere più di quanto erano autorizzati a fare (anche solo una visita in più nelle stanze).
L’essere psicologo, mi ha aiutato tanto, io sono stato in isolamento 9 giorni prima di essere dimesso (a tampone negativo) e aver poi intrapreso la quarantena domiciliare. Posso affermare che la cura somatica è eccezionale ma per il paziente risulta molto difficile sopportare psicologicamente l’isolamento e quindi questo potrebbe non aiutare nel decorso.
Ringrazio pubblicamente tutti i nostri operatori sanitari, che hanno sempre mostrato nel limite delle loro possibilità, la loro umanità. Sono certo che chi sceglie il loro lavoro, lo fa perché crede nella vita e cerca di tutelarla in ogni modo. Per questo, spero un giorno di poter essere loro, altrettanto utile dando la mia disponibilità professionale per poter scaricare l’ansia, la frustrazione, le paure che stanno accumulando senza mai fermarsi. Stanno facendo tutto quello che è in loro potere per aiutare gli altri ma ogni persona ha dei limiti che non dovrebbero mai essere superati.
Per quanto riguarda i pazienti, penso che alcune informazioni importanti dovrebbero arrivare loro. Quando si è in isolamento si ha bisogno di sapere di non essere soli (anche se fisicamente lo si è), e oggi abbiamo alcuni strumenti che ci permettono di non esserlo. Il cellulare può permettere di mantenere i contatti, anche se ogni persona ha il suo modo per farlo. C’è chi ha bisogno di parlare il più possibile (sfogandosi) e chi invece ha bisogno di sapere (con discrezione) di essere sostenuto a distanza. Ogni persona è diversa e non bisogna aver paura di richiedere quello di cui si ha bisogno ricordandosi che ci sono dei limiti, ma che quei limiti il prima possibile saranno superati.
È importante utilizzare il tempo dell’isolamento per comprendere quei valori che forse ci si era dimenticati di avere, rivalutare le cose importanti che stanno mancando, imparare a capire l’importanza del tempo e della libertà. Chi si è ammalato, sarà testimone della riscoperta dei valori e dei principi che solo quando non si hanno più, si comprendono veramente. Le distanze possono non esistere anche quando si è molto lontani. Le 24 ore delle giornate sono più che sufficienti per fare quello che è più importante fare. Le persone che ci vogliono bene, meritano di essere apprezzate per i loro valori. Tutti abbiamo dei valori e delle potenzialità che devono essere sviluppate sempre di più.
Un ultima cosa vorrei suggerire a chi in questo momento è in isolamento: più si pensa ad uscire più il tempo diventa lento. Cercate quindi di dedicare il vostro pensiero a chi è attorno a voi e sta facendo di tutto per aiutarvi (perché è così); riconoscete loro, gli sforzi che stanno facendo. Siate grati del fatto che l’isolamento vi stia aiutando e che il prima possibile potrete tornare a casa. Se conoscete tecniche meditative, usatele. Se siete credenti, pregate. Se volete confrontarvi con me, chiamatemi.




Lettera aperta di Roberto Ercolani


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