Tra poesia e Alzheimer come il nostrano ultimo film di Pupi Avati anche il soggetto coreano parla della malattia trasposta in oblio poetico. Confondere storia e memoria senza tempo oltre lo spazio dà il brivido a chiunque: la mente e l’anima navigano da sole nei versi letterari o fra le immagini cinematografiche lasciando il corpo a corrompersi da sé; tutt’intorno gli altri: affetti, amori, odi e rancori, naturalmente confusi come la mente bella di una donna sublime e raffinata poetessa della morte. L’autocontrollo che non c’è, tocca anche lo spettatore, grazie alla sceneggiatura sublime. Mija, mite sessantenne badante coreana, si scopre poetessa con la malattia lo diventa veramente e per lenire ogni dolore e passare al di là della vita oltre la morte: come se confondere i piani dell’esistenza fosse un dono.
POSCRITTO
Cosa dire delle scene di sesso tra anziani al cinema se non che sono utili al meccanismo poetico del film e poco altro certamente strane da proporre a un pubblico di giovani e giovanissimi sino alla mezza età, almeno, in piena civiltà dell’immagine edonistica.
Poetry, la malattia come ricerca della bellezza: poesia? Si, in sala al buio…si sente.
f.z.
POSCRITTO
Cosa dire delle scene di sesso tra anziani al cinema se non che sono utili al meccanismo poetico del film e poco altro certamente strane da proporre a un pubblico di giovani e giovanissimi sino alla mezza età, almeno, in piena civiltà dell’immagine edonistica.
Poetry, la malattia come ricerca della bellezza: poesia? Si, in sala al buio…si sente.
f.z.
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