In Piazza Sant'Agata, questo pomeriggio, il Gruppo Teatro Comunitario di Pontelagoscuro di scena con “Il Paese che non c’è”. Oltre 50 persone di tutte le età ed estrazione sociale, legate dall’appartenenza alla piccola frazione di Ferrara sulle rive del Po - Pontelagoscuro, appunto – hanno interpretato realtà collettive e individuali per tener viva la storia e la memoria. Sono infatti Memoria, Identità e Comunità le parole chiave che caratterizzano questo modo di fare teatro, che ha reso attori gli stessi cittadini, impegnati in una sorta di auto-rappresentazione, ma soprattutto nel recupero delle radici di un paese che non esisteva più perché totalmente raso al suolo in seguito ai bombardamenti della II Guerra Mondiale.
Il primo appuntamento della rassegna ha visto invece ieri sera sul palco del Concordia di Borgo Maggiore, la Corte Ospitale in “Tanti Saluti” di Giuliana Musso. Un progetto di teatro civile capace di esplorare, attraverso una ricerca di stampo sociologico, il tema della morte al giorno d’oggi. E’ il racconto delle paure, degli smarrimenti e delle soluzioni paradossali che mettiamo in atto di fronte alla morte, affidato in maniera dissacrante a tre clown. Un’analisi approfondita dell’esperienza umana attinta dalle testimonianze di medici, infermieri e anche di coloro che la morte l’hanno quasi sfiorata. Le varie dinamiche della fine, dunque, ma non senza una vena di ironia.
Silvia Pelliccioni
Il primo appuntamento della rassegna ha visto invece ieri sera sul palco del Concordia di Borgo Maggiore, la Corte Ospitale in “Tanti Saluti” di Giuliana Musso. Un progetto di teatro civile capace di esplorare, attraverso una ricerca di stampo sociologico, il tema della morte al giorno d’oggi. E’ il racconto delle paure, degli smarrimenti e delle soluzioni paradossali che mettiamo in atto di fronte alla morte, affidato in maniera dissacrante a tre clown. Un’analisi approfondita dell’esperienza umana attinta dalle testimonianze di medici, infermieri e anche di coloro che la morte l’hanno quasi sfiorata. Le varie dinamiche della fine, dunque, ma non senza una vena di ironia.
Silvia Pelliccioni
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