E' una domanda provocatoria quella che rivolgono alla società gli “alfieri del dialetto”, difensori della lingua della tradizione, testimonianza del vissuto, strumento espressivo che sa trasferire emozioni e concetti con rara efficacia. Il dialetto, dunque, deve morire? La risposta è no. Parola del Piccolo Teatro Arnaldo Martelli, che con il Patrocinio della Segreteria di Stato per l’Istruzione e la Cultura, ha chiuso con un convegno le celebrazioni per il sessantesimo anniversario di fondazione della compagnia, aprendo la nuova stagione teatrale.
Protagonista, ieri sera, la storia del dialetto sammarinese, le differenze tra i vari Castelli ma anche le similitudini con le diverse zone della Romagna. Non solo dibattito ma anche letture, recite e poesie, applaudite da un pubblico numeroso. Il dialetto ha una valenza politico-sociale, parla di noi, della nostra storia e identità, della saggezza dei nostri nonni. Una ricchezza che va custodita, “perché quando muore una lingua – afferma lo storico Verter Casali -muore anche la civiltà che ha espresso quella lingua”.
Celebrare il dialetto, ribadisce Augusto Casali, non è solo un fatto culturale ma identitario, di appartenenza alla terra. Lo sguardo va alle nuove generazioni, a cui viene affidato un compito importante: regalare al vernacolo una seconda giovinezza. Tornando alla domanda iniziale, una lingua non muore se la si parla. Quindi, il poeta Checco Guidi si appella ai giovani: “Non vergognatevi di parlare il dialetto, di ascoltarlo e tramandarlo, perché è la nostra terra, le nostre radici”.
Nel servizio le interviste allo storico Verter Casali, ad Augusto Casali del Piccolo Teatro Arnaldo Martelli, al poeta dialettale Checco Guidi.