Artigiani e commercianti devono farsi carico del ripianamento dei loro fondi pensionistici, in sofferenza da molti anni. E’ la proposta accolta dal Consiglio d’Amministrazione dell’Istituto per la sicurezza sociale che, di fatto, chiede al governo di aumentare le aliquote contributive per queste due categorie. Lo scorso anno, per sanare questo deficit - passività che non è solo nell’esercizio ma anche nel fondo – lo Stato ha effettuato un intervento straordinario di 3 milioni 658mila euro dal bilancio pubblico. L’ultima parola dunque spetta all’Esecutivo ma la decisione dell’organismo amministrativo dell’Iss solleva molte perplessità all’interno delle due categorie.
'Prima di adottare certe decisioni - commenta il Presidente dei commercianti Marco Arzilli - sarebbe meglio incontrarsi e discuterne, soprattutto in questo clima di crisi e di incertezza sul futuro. La nostra associazione - rimarca - da 10 anni chiede la riforma delle pensioni e non intende pagare la disattenzione della politica rispetto a questo problema'. Arzilli ricorda che i commercianti di ieri sono diventanti dipendenti delle loro aziende e che i commercianti di oggi sono sempre di meno. 'La valutazione da fare - sottolinea - è molto più seria e questa richiesta creerà sicuramente forti tensioni.
Come sempre - conclude Arzilli - saremo responsabili; speriamo che la parte pubblica e anche il sindacato facciano la stessa cosa'. 'Da sempre - ribadisce il Presidente degli artigiani Gianfranco Terenzi - diciamo che serve una riforma e che si è perso troppo tempo a danno dello stesso fondo pensionistico. A questo punto - commenta - siamo disorientati soprattutto se si fosse presa una posizione risolutiva nei confronti degli artigiani perché è giusto lavorare insieme per il ripianamento dei fondi ma non si può chiedere di pagare tout court, senza interpretare le cause che hanno portato a questo sconfinamento. Valutando insieme le ragioni - conclude Terenzi - ci si renderà conto che le responsabilità degli artigiani sono minime'. Artigiani, commercianti, sindacato e governo concordi sulla necessità, che l’Esecutivo definisce assoluta ed estrema, di riformare il sistema pensionistico. Diverse le ipotesi avanzate da tempo, fra tutte quella del sindacato che chiede di mantenere come primo pilastro il sistema pubblico a ripartizione (ovvero l’attuale modello che si basa sulla solidarietà tra generazioni per cui chi lavora paga l’assegno previdenziale ai pensionati), introducendo un secondo pilastro di natura privata, garantito da un quadro legislativo.
'Prima di adottare certe decisioni - commenta il Presidente dei commercianti Marco Arzilli - sarebbe meglio incontrarsi e discuterne, soprattutto in questo clima di crisi e di incertezza sul futuro. La nostra associazione - rimarca - da 10 anni chiede la riforma delle pensioni e non intende pagare la disattenzione della politica rispetto a questo problema'. Arzilli ricorda che i commercianti di ieri sono diventanti dipendenti delle loro aziende e che i commercianti di oggi sono sempre di meno. 'La valutazione da fare - sottolinea - è molto più seria e questa richiesta creerà sicuramente forti tensioni.
Come sempre - conclude Arzilli - saremo responsabili; speriamo che la parte pubblica e anche il sindacato facciano la stessa cosa'. 'Da sempre - ribadisce il Presidente degli artigiani Gianfranco Terenzi - diciamo che serve una riforma e che si è perso troppo tempo a danno dello stesso fondo pensionistico. A questo punto - commenta - siamo disorientati soprattutto se si fosse presa una posizione risolutiva nei confronti degli artigiani perché è giusto lavorare insieme per il ripianamento dei fondi ma non si può chiedere di pagare tout court, senza interpretare le cause che hanno portato a questo sconfinamento. Valutando insieme le ragioni - conclude Terenzi - ci si renderà conto che le responsabilità degli artigiani sono minime'. Artigiani, commercianti, sindacato e governo concordi sulla necessità, che l’Esecutivo definisce assoluta ed estrema, di riformare il sistema pensionistico. Diverse le ipotesi avanzate da tempo, fra tutte quella del sindacato che chiede di mantenere come primo pilastro il sistema pubblico a ripartizione (ovvero l’attuale modello che si basa sulla solidarietà tra generazioni per cui chi lavora paga l’assegno previdenziale ai pensionati), introducendo un secondo pilastro di natura privata, garantito da un quadro legislativo.
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