Il viaggio programmato dal premier israeliano in Cina non è forse solo un dispetto verso l’amministrazione Biden per non averlo ancora invitato a Washington dopo 6 mesi, o per aver criticato la sua riforma giudiziaria, e disapprovato la sua acquiescenza con i “coloni” sui nuovi insediamenti in Cisgiordania. Netanyahu ha colto con chiarezza la volontà di smarcamento americano dal Medio Oriente, in particolare dopo le voci sul probabile nuovo accordo nucleare con l’Iran.
Questa prudenza israeliana in politica estera è anche il motivo per cui Gerusalemme non ha fornito armi all’Ucraina per contrastare l’invasione russa. Il premier israeliano ha capito che "l'ordine mondiale americano" è una struttura di potere che ormai non esiste più, almeno in Medio Oriente. La visita di Netanyahu verrà accolta con favore a Pechino perché potrebbe creare qualche difficoltà alla rielezione del Presidente USA e quindi alla posizione americana sulla riunificazione di Taiwan con la Cina.
E anche il premier israeliano potrebbe beneficiare di un indebolimento dell’amministrazione Biden per avere mano libera nel contrastare la Jihad Islamica in Cisgiordania, in modo che non diventi una nuova Gaza. Rimane il nodo economico: negli ultimi 20 anni le società cinesi hanno investito in quasi 500 aziende israeliane, pur rimanendo limitato l’ingresso nei settori più delicati del Paese, come quelli tecnologici e della sicurezza. Ma lo Stato ebraico è anche fortemente dipendente dagli Stati Uniti per gli aiuti militari, e l’ostilità americana nei confronti della Cina è completamente bipartisan fra Democratici e Repubblicani. E questo potrebbe limitare l’accesso israeliano a tecnologie e armamenti all'avanguardia di cui finora ha potuto avvalersi.
Massimo Caviglia