Il mancato accoglimento della proposta di un incontro comune sulla legge elettorale scatena le reazioni dei tre gruppi consiliari che su questo tema hanno raggiunto un punto d’accordo. Vista la posizione comune, Alleanza Popolare, Gruppo Federativo Socialista e Sinistra Unita, avevano chiesto al PSD un confronto unitario, per valutare le convergenze e definire i percorsi di intervento legislativo. Ma così non è stato. Il partito dei socialisti e democratici preferisce tenere incontri distinti e separati. Una scelta che per i tre gruppi consiliari ha un preciso significato politico: 'la dimostrazione – sostengono – della sudditanza del PSD alla Democrazia Cristiana'. “Fatichiamo a capire le ragioni – afferma Tito Masi – ci pare la manifestazione di volontà a proseguire in questo Governo non solo ora ma anche nella prossima legislatura. Se le cose stanno così – aggiunge – il PSD non venga a chiederci di fare una scelta di campo perché questa volta la nostra reazione sarebbe piuttosto dura”. Perplesso anche Ivan Foschi, che parla di predominanza democristiana nel rapporto fra gli alleati, così come Alessandro Rossi, che invita il suo partito a cogliere l’opportunità di dare un segnale di svolta. Scettico sulla volontà reale di affrontare la riforma delle regole del voto si dichiara Paolo Bollini, che annuncia però la volontà di andare agli incontri nella massima disponibilità. “O succede qualcosa entro settembre – evidenzia Valeria Ciavatta riferendosi proprio al cambiamento – o non succederà più niente”.
Il progetto dei tre gruppi consiliari prevede, in primo luogo il mantenimento del sistema proporzionale, con quale correttivo, senza la previsione di un doppio turno, considerato un inutile dispendio di tempo e di risorse. I partiti dovranno dichiarare preventivamente coalizioni e programmi e su questi sottoporsi al giudizio degli elettori. 33 seggi a chi avrà il maggior numero di voti, 35 nel caso i seggi conquistati siano invece 30 o più. Se nel corso della legislatura la maggioranza originaria verrà per qualche ragione a meno, si dovrà tornare subito alle urne, 'se invece – aggiungono – si registrerà l’abbandono di qualche consigliere non sarà necessaria una nuova consultazione se la maggioranza conserverà i 31 seggi necessari'.
C’è poi la questione del voto estero. Qui le soluzioni indicate sono 4: che il diritto del voto venga riservato solo ai cittadini residenti in territorio o a coloro che, pur residenti all’estero abbiano una sola cittadinanza, quella sammarinese. Altra ipotesi, il voto consentito ai cittadini emigrati, nati cioè a San Marino e trasferitisi poi altrove. Non dunque alle cosiddette seconde generazioni. Terza soluzione: l’istituzione di due distinti collegi elettorali, uno per i residenti l’altro per i cittadini all’estero. 'Questo – spiegano – sarebbe in linea con l’ordine del giorno votato dal Consiglio Grande e Generale. Ovviamente – aggiungono – non ci dovrebbero essere travasi di voti e ci si dovrebbe accordare sul numero di seggi da riservare agli elettori esteri, magari – precisano – non più di due, come stabilisce in Italia la legge Tremaglia'. Ultima ipotesi: la possibilità di prevedere due collegi; uno nazionale, nel quale votino tutti i cittadini, ovunque residenti, e l’altro territoriale, dove voterebbero solo i residenti in Repubblica. 'Un modo – spiegano – per diminuire il peso del voto estero'.
Il progetto dei tre gruppi consiliari prevede, in primo luogo il mantenimento del sistema proporzionale, con quale correttivo, senza la previsione di un doppio turno, considerato un inutile dispendio di tempo e di risorse. I partiti dovranno dichiarare preventivamente coalizioni e programmi e su questi sottoporsi al giudizio degli elettori. 33 seggi a chi avrà il maggior numero di voti, 35 nel caso i seggi conquistati siano invece 30 o più. Se nel corso della legislatura la maggioranza originaria verrà per qualche ragione a meno, si dovrà tornare subito alle urne, 'se invece – aggiungono – si registrerà l’abbandono di qualche consigliere non sarà necessaria una nuova consultazione se la maggioranza conserverà i 31 seggi necessari'.
C’è poi la questione del voto estero. Qui le soluzioni indicate sono 4: che il diritto del voto venga riservato solo ai cittadini residenti in territorio o a coloro che, pur residenti all’estero abbiano una sola cittadinanza, quella sammarinese. Altra ipotesi, il voto consentito ai cittadini emigrati, nati cioè a San Marino e trasferitisi poi altrove. Non dunque alle cosiddette seconde generazioni. Terza soluzione: l’istituzione di due distinti collegi elettorali, uno per i residenti l’altro per i cittadini all’estero. 'Questo – spiegano – sarebbe in linea con l’ordine del giorno votato dal Consiglio Grande e Generale. Ovviamente – aggiungono – non ci dovrebbero essere travasi di voti e ci si dovrebbe accordare sul numero di seggi da riservare agli elettori esteri, magari – precisano – non più di due, come stabilisce in Italia la legge Tremaglia'. Ultima ipotesi: la possibilità di prevedere due collegi; uno nazionale, nel quale votino tutti i cittadini, ovunque residenti, e l’altro territoriale, dove voterebbero solo i residenti in Repubblica. 'Un modo – spiegano – per diminuire il peso del voto estero'.
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