Orazione di Francesco Ubertini, Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum - Università degli Studi di Bologna, in occasione della Cerimonia di Investitura degli Eccellentissimi Capitani Reggenti
San Marino, 1° ottobre 2018
Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Signori Segretari di Stato
Signori Membri del Consiglio Grande e Generale,
Autorità tutte,
Signore e Signori,
Vi porto innanzitutto il saluto dell’Ateneo di Bologna, di tutti i suoi docenti, di coloro che vi lavorano, delle studentesse e degli studenti.
Per me è un onore essere qui, oggi, in quanto rappresentante di un’istituzione così antica, così vasta, così complessa. Ed è maggiormente motivo di onore parlare in uno Stato i cui confini lambiscono quelli dell’Ateneo, cioè del suo Multicampus, in una realtà storica e culturale che possiamo considerare gemella con la nostra, anche per l’intenso scambio di docenti e studenti che da molti anni l’Ateneo bolognese e quello sanmarinese hanno favorito.
Non è un caso che gli oratori invitati a queste cerimonie spesso siano stati rappresentanti del mondo universitario. Un uomo illustre e dotto come Giosue Carducci è venuto qui per parlare della sua visione della Storia e della Storia di San Marino. Il suo discorso era improntato a un concetto talmente alto e forte ancora oggi, il concetto di libertà, che non posso fare a meno di metterlo anche io al centro del mio intervento di oggi. Dunque cercherò di illustrarvi come intendo la formazione universitaria e la formazione in generale proprio a partire dall’idea della libertà dell’insegnamento e della libertà delle scelte didattiche che ogni individuo deve essere in condizione di fare. Questa doppia libertà oggi ci sembra quasi svanita non per una circostanza storica ma perché non sembra più esserci vita vera all’interno delle istituzioni che devono formare alla libertà e che devono difendere la libertà.
Uno dei fenomeni che più ci turbano negli ultimi anni, è proprio la crisi delle grandi istituzioni. Sembra che la società civile non solo italiana ma europea stia perdendo di vista la funzione insostituibile che ogni istituzione ha nel tenere insieme il tessuto sociale e nel garantire a ogni cittadino, in fasi diverse della vita, la difesa dei propri diritti. Il diritto allo studio è uno dei principi fondamentali scritto nella nostra Costituzione. E il diritto allo studio sembra proprio essere stato messo da parte o perlomeno non tutelato realmente in una società che per tanti aspetti invece si preoccupa di garantire i diritti di ogni singolo componente.
Tutti sappiamo che la scuola, di ogni grado, ha perso credibilità nel sentire collettivo di gran parte degli italiani, e forse la ha persa proprio in quelle zone del paese che più ne sentono il bisogno. A questo abbassamento della curva che riguarda l’opinione pubblica della scuola corrisponde un innalzamento estremo della curva che riguarda i processi di riforma a cui i ministri hanno sottoposto l’organizzazione dei cicli di studi. Evidentemente qualcosa sfugge al buon senso. Come possiamo ammettere che sottoporre una istituzione a riforme continue non produca risultati soddisfacenti da parte di coloro che sono coinvolti quotidianamente nello sviluppo di quella stessa istituzione? Come possiamo spiegare lo scollamento tra le azioni che si promuovono dall’esterno e quello che avviene all’interno?
Se volessimo usare un’immagine tragica, potremmo dire che il crollo di alcune scuole avvenuto negli ultimi anni rappresenta il punto di non ritorno a cui l’idea stessa di scuola sembra essere arrivata. La scuola è crollata. E non si trovano interventi ricostruttivi tali da farla ritornare alle condizioni di trenta o quarant’anni fa.
Ad aumentare i paradossi ci sono due altri elementi. Il primo è che le scuole superiori italiane (licei o istituti tecnici) sono indubbiamente tra i migliori istituti o forse in assoluto i migliori di tutta Europa. E questo è merito di coloro che vi lavorano, cioè delle professoresse e dei professori che ogni giorno compiono un altissimo mandato sociale e culturale, ma innanzitutto sociale. Il secondo è che ogni ministro sembra operarsi per introdurre nei metodi didattici l’uso di raffinati strumenti tecnologici e a questi strumenti non corrisponde mai o quasi mai un reale risultato sul piano della formazione. Sarebbe triste ammettere, all’altezza del 2018, che siamo ancora un Paese dove le parole non corrispondono ai fatti, che siamo ancora un paese gattopardesco, dove si parla molto per non cambiare effettivamente niente…
Dunque partirei da questo presupposto: le istituzioni scolastiche vivono fondamentalmente perché coloro che ne fanno parte credono ancora al valore della loro missione, e lo fanno indipendentemente dalle spinte esterne che sembrano voler introdurre cambiamenti radicali ma che non hanno la consapevolezza di come effettivamente possano avvenire questi cambiamenti. E noi sappiamo che c’è un solo modo per cambiare un’istituzione, e cioè operare dall’interno dell’istituzione stessa, rendere attori del cambiamento coloro che vi vivono dentro, coloro che portano le loro energie ogni giorno dentro le mura dell’istituzione. Nel caso della scuola sono due i soggetti che devono diventare protagonisti del cambiamento: il mondo studentesco e il corpo docente. Nessun cambiamento può ottenere risultati se non parte dalle proposte che all’interno dell’istituzione possono esprimere coloro che ne sono i reali attori protagonisti. Questo deve essere chiaro a tutti.
L’idea alta e nobile di Libertà, quell’idea che Carducci rivendicava qui per San Marino, significa non possibilità di fare quello che si vuole senza nessun vincolo, ma significa possibilità di fare sapendo che si agisce dentro la Storia, dentro le Istituzioni, con la coscienza dei vincoli che queste Istituzioni ci pongono ogni giorno. Le Istituzioni sono come gli individui, vanno ascoltate e si può rispondere ad esse, alle loro “crisi”, alle loro “malattie” solo se le si conosce realmente, solo se si sa quali sono i punti di forza e di debolezza che le caratterizzano, solo se si ha la consapevolezza di come intervenire e in che direzione curarle. L’Alma Mater bolognese, come sapete tutti, è un’istituzione antichissima, nata dal basso dalla forza propositiva di gruppi studenteschi che decisero di raccogliere il denaro necessario per pagare professori famosi e tenerli in città a svolgere il loro insegnamento.
Carducci, con la collaborazione di un intellettuale ravennate, Corrado Ricci, fissò al 1088 l’anno di nascita ufficiale dell’Ateneo, e come tale noi ancora oggi lo celebriamo. Ma se ci pensiamo bene, l’aver scelto una data e averla poi utilizzata abilmente nell’Italia del 1888 corrispose a un atto con cui Carducci voleva ridare vitalità all’Ateneo, decidendo qual era il momento fondativo da mettere al centro della vita passata e futura dell’Istituzione a cui apparteneva. Anche quando parlò qui a San Marino Carducci scelse di analizzare la leggenda fondativa del Vostro Stato. Carducci era nelle condizioni di poter lasciare i segni nella Storia ufficiale, era un inventore di leggende moderne e anche antiche. La sua prospettiva di studioso e di poeta lo portava a vedere in profondità dentro la storia italiana.
Carducci sapeva bene che le Istituzioni hanno bisogno della loro storia, esattamente come gli individui hanno bisogno della loro memoria. Senza memoria non si dà identità. E senza prospettiva di sviluppo in avanti non si dà identità.
Memoria e sviluppo sono due concetti che spesso ho usato durante i tre anni del mio rettorato per spiegare qual è la mia visione dell’Ateneo bolognese. Dal punto di vista professionale, sono uomo di formazione tecnica e quindi dovrei guardare con più attenzione allo sviluppo che va in direzione tecnologica. Da quando però ho iniziato il mio nuovo mestiere, e soprattutto da quando ho acquisito maggiore consapevolezza intorno alla complessa macchina di cui sono alla guida, mi sono reso conto che la memoria è il cuore propulsore dell’Alma mater. E che ogni giorno bisogna creare strategie per fare in modo che la memoria e lo sviluppo procedano su binari paralleli, senza volersi superare a vicenda o senza creare falsi miti di progresso.
Tutto ciò che è tecnologico, in particolare tutti gli strumenti informatici, acquistano un senso se sono permeati dalla consapevolezza di dove li si fa agire e di quale direzione si sta prendendo grazie a loro. In ognuna delle cinque grandi aree del sapere che caratterizza l’Ateneo, la tecnologia deve necessariamente stringere un patto di fiducia con la lunga storia di quel sapere specifico, di quella area culturale, di quella tradizione di studi.
Questa è la mia idea di università. In quanto istituzione l’Università, e la Scuola in generale, sono gli spazi più incredibilmente ricchi e fertili di una società. Dentro questi spazi avviene il miracolo vero, quello che nessuna visione politica può ignorare: gli adulti comunicano con i giovani, e lo fanno per trasmettere loro quanto hanno imparato nel corso di una vita, quanto hanno a loro volta appreso nell’età della loro formazione. Ci sono stati periodi della storia, anche recente, in cui questo passaggio si è interrotto, come se si fosse creato un ingorgo che ha impedito il passaggio di energie da una generazione all’altra. Oggi viviamo in un’epoca in cui molti pensano che forse questo modo di intendere il processo formativo sia invecchiato, addirittura inutile. Ma non è un caso che in questa nostra stessa epoca ci siano moltissimi giovani che non riescono a trovare il percorso giusto che li faccia crescere, e ci siano famiglie che si trovano impotenti di fronte ai dubbi, agli stalli, alle mille incertezze dei figli adolescenti. Questi figli, che sembrano abilissimi con ogni strumento tecnico, che conoscono ogni aspetto dell’informatica, che hanno imparato l’inglese e viaggiano il mondo, molto spesso vanno in crisi quando pensano al loro futuro. E le forze politiche fanno di tutto per acuire le difficoltà connesse all’idea che si possa ancora costruire un futuro.
Dunque non è scontato che il rapporto tra generazioni sia ancora un fortissimo collante sociale (oltre che culturale), e non è scontato che la scuola sia ancora il luogo specifico dove questo rapporto può realizzarsi, a volte anche superando gli ostacoli che nascono all’interno dei nuclei famigliari. Senza questi presupposti non penso che potremo superare quel muro spesso che ci sembra di avere intorno, soprattutto negli ultimi tempi. Non sono le difese accorate del passato né la passione senza riserve del futuro a contenere la soluzione che oggi può ridarci fiducia nell’istituzione Scuola. Un ottimo studioso di greco è tale quando sa mettere sul piatto della bilancia il valore di una lingua classica con le esigenze espressive di una lingua moderna. Un ottimo medico è tale non solo se riesce a individuare la malattia nascosta nelle cellule di un corpo ma anche se sa di avere di fronte un individuo al quale saper comunicare con le parole giuste come si può rimediare a quella malattia, o addirittura come affrontare il percorso irreversibile che quella malattia comporta.
Solo la scuola può permettere agli individui di diventare uomini consapevoli, professionisti seri, cittadini responsabili. L’immagine dello studente cittadino è al centro di molte operazioni che sto cercando di realizzare all’interno dell’Ateneo di Bologna. Lo studente cittadino è il rappresentante vero di un’idea alta di libertà e di responsabilità.
Auguro a Voi, ai Vostri nuovi Capitani Reggenti, al Vostro Stato di saper difendere anche in momenti difficili come quello che stiamo vivendo tutti i valori della libertà intellettuale che stanno alla base del mito fondativo di questi luoghi.
San Marino, 1° ottobre 2018
Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Signori Segretari di Stato
Signori Membri del Consiglio Grande e Generale,
Autorità tutte,
Signore e Signori,
Vi porto innanzitutto il saluto dell’Ateneo di Bologna, di tutti i suoi docenti, di coloro che vi lavorano, delle studentesse e degli studenti.
Per me è un onore essere qui, oggi, in quanto rappresentante di un’istituzione così antica, così vasta, così complessa. Ed è maggiormente motivo di onore parlare in uno Stato i cui confini lambiscono quelli dell’Ateneo, cioè del suo Multicampus, in una realtà storica e culturale che possiamo considerare gemella con la nostra, anche per l’intenso scambio di docenti e studenti che da molti anni l’Ateneo bolognese e quello sanmarinese hanno favorito.
Non è un caso che gli oratori invitati a queste cerimonie spesso siano stati rappresentanti del mondo universitario. Un uomo illustre e dotto come Giosue Carducci è venuto qui per parlare della sua visione della Storia e della Storia di San Marino. Il suo discorso era improntato a un concetto talmente alto e forte ancora oggi, il concetto di libertà, che non posso fare a meno di metterlo anche io al centro del mio intervento di oggi. Dunque cercherò di illustrarvi come intendo la formazione universitaria e la formazione in generale proprio a partire dall’idea della libertà dell’insegnamento e della libertà delle scelte didattiche che ogni individuo deve essere in condizione di fare. Questa doppia libertà oggi ci sembra quasi svanita non per una circostanza storica ma perché non sembra più esserci vita vera all’interno delle istituzioni che devono formare alla libertà e che devono difendere la libertà.
Uno dei fenomeni che più ci turbano negli ultimi anni, è proprio la crisi delle grandi istituzioni. Sembra che la società civile non solo italiana ma europea stia perdendo di vista la funzione insostituibile che ogni istituzione ha nel tenere insieme il tessuto sociale e nel garantire a ogni cittadino, in fasi diverse della vita, la difesa dei propri diritti. Il diritto allo studio è uno dei principi fondamentali scritto nella nostra Costituzione. E il diritto allo studio sembra proprio essere stato messo da parte o perlomeno non tutelato realmente in una società che per tanti aspetti invece si preoccupa di garantire i diritti di ogni singolo componente.
Tutti sappiamo che la scuola, di ogni grado, ha perso credibilità nel sentire collettivo di gran parte degli italiani, e forse la ha persa proprio in quelle zone del paese che più ne sentono il bisogno. A questo abbassamento della curva che riguarda l’opinione pubblica della scuola corrisponde un innalzamento estremo della curva che riguarda i processi di riforma a cui i ministri hanno sottoposto l’organizzazione dei cicli di studi. Evidentemente qualcosa sfugge al buon senso. Come possiamo ammettere che sottoporre una istituzione a riforme continue non produca risultati soddisfacenti da parte di coloro che sono coinvolti quotidianamente nello sviluppo di quella stessa istituzione? Come possiamo spiegare lo scollamento tra le azioni che si promuovono dall’esterno e quello che avviene all’interno?
Se volessimo usare un’immagine tragica, potremmo dire che il crollo di alcune scuole avvenuto negli ultimi anni rappresenta il punto di non ritorno a cui l’idea stessa di scuola sembra essere arrivata. La scuola è crollata. E non si trovano interventi ricostruttivi tali da farla ritornare alle condizioni di trenta o quarant’anni fa.
Ad aumentare i paradossi ci sono due altri elementi. Il primo è che le scuole superiori italiane (licei o istituti tecnici) sono indubbiamente tra i migliori istituti o forse in assoluto i migliori di tutta Europa. E questo è merito di coloro che vi lavorano, cioè delle professoresse e dei professori che ogni giorno compiono un altissimo mandato sociale e culturale, ma innanzitutto sociale. Il secondo è che ogni ministro sembra operarsi per introdurre nei metodi didattici l’uso di raffinati strumenti tecnologici e a questi strumenti non corrisponde mai o quasi mai un reale risultato sul piano della formazione. Sarebbe triste ammettere, all’altezza del 2018, che siamo ancora un Paese dove le parole non corrispondono ai fatti, che siamo ancora un paese gattopardesco, dove si parla molto per non cambiare effettivamente niente…
Dunque partirei da questo presupposto: le istituzioni scolastiche vivono fondamentalmente perché coloro che ne fanno parte credono ancora al valore della loro missione, e lo fanno indipendentemente dalle spinte esterne che sembrano voler introdurre cambiamenti radicali ma che non hanno la consapevolezza di come effettivamente possano avvenire questi cambiamenti. E noi sappiamo che c’è un solo modo per cambiare un’istituzione, e cioè operare dall’interno dell’istituzione stessa, rendere attori del cambiamento coloro che vi vivono dentro, coloro che portano le loro energie ogni giorno dentro le mura dell’istituzione. Nel caso della scuola sono due i soggetti che devono diventare protagonisti del cambiamento: il mondo studentesco e il corpo docente. Nessun cambiamento può ottenere risultati se non parte dalle proposte che all’interno dell’istituzione possono esprimere coloro che ne sono i reali attori protagonisti. Questo deve essere chiaro a tutti.
L’idea alta e nobile di Libertà, quell’idea che Carducci rivendicava qui per San Marino, significa non possibilità di fare quello che si vuole senza nessun vincolo, ma significa possibilità di fare sapendo che si agisce dentro la Storia, dentro le Istituzioni, con la coscienza dei vincoli che queste Istituzioni ci pongono ogni giorno. Le Istituzioni sono come gli individui, vanno ascoltate e si può rispondere ad esse, alle loro “crisi”, alle loro “malattie” solo se le si conosce realmente, solo se si sa quali sono i punti di forza e di debolezza che le caratterizzano, solo se si ha la consapevolezza di come intervenire e in che direzione curarle. L’Alma Mater bolognese, come sapete tutti, è un’istituzione antichissima, nata dal basso dalla forza propositiva di gruppi studenteschi che decisero di raccogliere il denaro necessario per pagare professori famosi e tenerli in città a svolgere il loro insegnamento.
Carducci, con la collaborazione di un intellettuale ravennate, Corrado Ricci, fissò al 1088 l’anno di nascita ufficiale dell’Ateneo, e come tale noi ancora oggi lo celebriamo. Ma se ci pensiamo bene, l’aver scelto una data e averla poi utilizzata abilmente nell’Italia del 1888 corrispose a un atto con cui Carducci voleva ridare vitalità all’Ateneo, decidendo qual era il momento fondativo da mettere al centro della vita passata e futura dell’Istituzione a cui apparteneva. Anche quando parlò qui a San Marino Carducci scelse di analizzare la leggenda fondativa del Vostro Stato. Carducci era nelle condizioni di poter lasciare i segni nella Storia ufficiale, era un inventore di leggende moderne e anche antiche. La sua prospettiva di studioso e di poeta lo portava a vedere in profondità dentro la storia italiana.
Carducci sapeva bene che le Istituzioni hanno bisogno della loro storia, esattamente come gli individui hanno bisogno della loro memoria. Senza memoria non si dà identità. E senza prospettiva di sviluppo in avanti non si dà identità.
Memoria e sviluppo sono due concetti che spesso ho usato durante i tre anni del mio rettorato per spiegare qual è la mia visione dell’Ateneo bolognese. Dal punto di vista professionale, sono uomo di formazione tecnica e quindi dovrei guardare con più attenzione allo sviluppo che va in direzione tecnologica. Da quando però ho iniziato il mio nuovo mestiere, e soprattutto da quando ho acquisito maggiore consapevolezza intorno alla complessa macchina di cui sono alla guida, mi sono reso conto che la memoria è il cuore propulsore dell’Alma mater. E che ogni giorno bisogna creare strategie per fare in modo che la memoria e lo sviluppo procedano su binari paralleli, senza volersi superare a vicenda o senza creare falsi miti di progresso.
Tutto ciò che è tecnologico, in particolare tutti gli strumenti informatici, acquistano un senso se sono permeati dalla consapevolezza di dove li si fa agire e di quale direzione si sta prendendo grazie a loro. In ognuna delle cinque grandi aree del sapere che caratterizza l’Ateneo, la tecnologia deve necessariamente stringere un patto di fiducia con la lunga storia di quel sapere specifico, di quella area culturale, di quella tradizione di studi.
Questa è la mia idea di università. In quanto istituzione l’Università, e la Scuola in generale, sono gli spazi più incredibilmente ricchi e fertili di una società. Dentro questi spazi avviene il miracolo vero, quello che nessuna visione politica può ignorare: gli adulti comunicano con i giovani, e lo fanno per trasmettere loro quanto hanno imparato nel corso di una vita, quanto hanno a loro volta appreso nell’età della loro formazione. Ci sono stati periodi della storia, anche recente, in cui questo passaggio si è interrotto, come se si fosse creato un ingorgo che ha impedito il passaggio di energie da una generazione all’altra. Oggi viviamo in un’epoca in cui molti pensano che forse questo modo di intendere il processo formativo sia invecchiato, addirittura inutile. Ma non è un caso che in questa nostra stessa epoca ci siano moltissimi giovani che non riescono a trovare il percorso giusto che li faccia crescere, e ci siano famiglie che si trovano impotenti di fronte ai dubbi, agli stalli, alle mille incertezze dei figli adolescenti. Questi figli, che sembrano abilissimi con ogni strumento tecnico, che conoscono ogni aspetto dell’informatica, che hanno imparato l’inglese e viaggiano il mondo, molto spesso vanno in crisi quando pensano al loro futuro. E le forze politiche fanno di tutto per acuire le difficoltà connesse all’idea che si possa ancora costruire un futuro.
Dunque non è scontato che il rapporto tra generazioni sia ancora un fortissimo collante sociale (oltre che culturale), e non è scontato che la scuola sia ancora il luogo specifico dove questo rapporto può realizzarsi, a volte anche superando gli ostacoli che nascono all’interno dei nuclei famigliari. Senza questi presupposti non penso che potremo superare quel muro spesso che ci sembra di avere intorno, soprattutto negli ultimi tempi. Non sono le difese accorate del passato né la passione senza riserve del futuro a contenere la soluzione che oggi può ridarci fiducia nell’istituzione Scuola. Un ottimo studioso di greco è tale quando sa mettere sul piatto della bilancia il valore di una lingua classica con le esigenze espressive di una lingua moderna. Un ottimo medico è tale non solo se riesce a individuare la malattia nascosta nelle cellule di un corpo ma anche se sa di avere di fronte un individuo al quale saper comunicare con le parole giuste come si può rimediare a quella malattia, o addirittura come affrontare il percorso irreversibile che quella malattia comporta.
Solo la scuola può permettere agli individui di diventare uomini consapevoli, professionisti seri, cittadini responsabili. L’immagine dello studente cittadino è al centro di molte operazioni che sto cercando di realizzare all’interno dell’Ateneo di Bologna. Lo studente cittadino è il rappresentante vero di un’idea alta di libertà e di responsabilità.
Auguro a Voi, ai Vostri nuovi Capitani Reggenti, al Vostro Stato di saper difendere anche in momenti difficili come quello che stiamo vivendo tutti i valori della libertà intellettuale che stanno alla base del mito fondativo di questi luoghi.
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