Si ricomincia, si torna in campo a giocare la serie A di calcio. Nello sport ci sono avversari di ogni tipo, da quelli troppo forti, quelli che si possono battere arrivando a quelli che mettono paura. Sinisa Mihajlović classe 1969 sta giocando proprio contro uno di quelli, silente, terribile che solo al nominarlo mette i brividi: la leucemia. Quaranta giorni fa la conferenza stampa del tecnico serbo che annunciava di aver scoperto di essere stato colpito da questo male, le lacrime a testimoniare la paura, lo sconforto e la preoccupazione condivisa dai suoi familiari e dalla sua squadra, il Bologna Calcio. Poi l'immediato ricovero per iniziare la dura battaglia. "Non mollare mai" questo da subito il grido di battaglia condiviso da tutto, o quasi, il movimento calcio rivolto a Sinisa. Quasi tutto perché in ogni famiglia che si rispetti ci sono le pecore nere e anche il calcio non è esente da questi individui che non vedono oltre ai colori delle maglie e a chi le ha indossate, e nel caso di Mihajlovic quelle della Lazio e dell'Inter.
“Non mollare mai” ce lo siamo detti e lo abbiamo suggerito tante volte nelle più svariate situazioni, ma Domenica sera allo stadio Bentegodi di Verona per la prima del Bologna c’è stato un uomo che ce ne ha insegnato, una volta di più, il significato. Ha voluto esserci a guidare i suoi ragazzi dalla panchina, con il consenso dei medici che glielo hanno accordato solo a poche ore dal fischio d'inizio. E allora eccolo arrivare dotato di mascherina per evitare il più possibile contatti con gli altri, visti i dati ematici dopo l’impatto della malattia e del primo ciclo di cure. Ma come è naturale che sia la mascherina ha durato poco sul volto provato del codottiero Sinisa Mihajlovic, appena giunto in panchina la mascherina era giè scomparsa. Perché uno come lui mica può starsene buono e seduto se la squadra non fa esattamente ciò che ha chiesto.
Che la partita sia finita in parità, con una prova di cuore dei rossoblù che hanno finito la gara in dieci uomini, conta poco. La verità è che Mihajlovic, in un mondo cartonato e finto, dove gli eroi si costruiscono sul marketing e si gettano al primo rigore sbagliato, lui è un Uomo profondamente coraggioso quando non ha paura di mostrare il proprio lato debole in pubblico. Anzi è lì che diventa ancora più forte, nonostante la stanchezza, il fisico visibilmente provato come è normale, lo stress dato dal lavoro a distanza. Sinisa è stato quello di sempre, gesticolante, incazzato, critico con i suoi per una partita non esattamente da stropicciarsi gli occhi. Una grande lezione di umanità al mondo del pallone e dignità allo sport.
Grazie, Sinisa.