Al tempo dovuto si potranno fare considerazioni sul significato scientifico di vita in quanto continuum evolutivo, sul dubbio se sia giusto definire alcuni valori morali superiori ad altri, su come un medico non debba essere anche giudice, sul valore sociale dell’autodeterminazione e i riflessi positivi sulla qualità della vita, sugli aspetti più strettamente medici. Ma ora è presto. Ora dobbiamo solo decidere se sia giusto che la popolazione esprima il proprio parere in materia tanto delicata.
Questo è il momento di parlare di diritti.
Siamo in ritardo con gli impegni presi, e non facciamo bella figura. Nel 2003, con il Decreto 154, San Marino ratifica la “Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne” attraverso cui gli Stati si impegnano a fornire alle donne assistenza sanitaria adeguata in particolare “…al fine di assicurare ...il loro accesso ai servizi di assistenza sanitaria, compresi quelli relativi alla pianificazione familiare.” (Art 12)
I diritti riproduttivi sono diritti umani:
La Dichiarazione di Vienna del 1993, adottata dalla Conferenza Mondiale sui Diritti Umani, ha riaffermato come fondamentali i diritti riproduttivi, dichiarando il diritto della donna ad usufruire di adeguata assistenza sanitaria e della più ampia gamma di servizi di pianificazione familiare.
Il concetto dei diritti riproduttivi in quanto diritti umani fondamentali è stato ulteriormente rafforzato nel 1994 alla Conferenza del Cairo, e nel 1999 alla rassegna quinquennale dell’applicazione del Programma di Azione della Conferenza del Cairo.
Il diritto delle donne alla salute, e in particolare alla salute riproduttiva, è stato al centro anche della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, tenuta a Pechino nel 1995. Fra le priorità, nel campo della salute, individua il garantire più accessibili, disponibili, economici e qualificati servizi di assistenza sanitaria, in particolare i servizi di informazione e di assistenza sulla sessualità, la pianificazione familiare e la procreazione.
A San Marino, nel 1974, al tempo della discussione degli articoli del Codice penale che si intendono superare, si optò per la completa negazione perché la questione non era stata oggetto di dibattito pubblico e in particolare appariva ignota l’opinione delle donne (1).
Bene, ora, 47 anni dopo, le donne desiderano esprimere la loro opinione. Dopo i numerosi solleciti della comunità internazionale, come il Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, dopo numerose istanze provenienti dalla popolazione (Istanze d’Arengo, Leggi di iniziativa popolare) in cui le donne si sono espresse ma non hanno potuto decidere, ora vogliono non solo proporre ma anche rendere il loro parere vincolante. Ed è giusto che lo sia.
Per questo le donne del gruppo BRAVE! aderiranno alla campagna di promozione del referendum e sottoscriveranno questa iniziativa, riservando al momento della campagna le soggettive considerazioni che entreranno nel merito del quesito.
Perché ora si tratta dell’esercizio di un diritto acquisito: la cittadinanza deve poter decidere.
(1) La condizione giuridica della donna Sammarinese attraverso i secoli- F. Viroli 1981
Comunicato stampa
BRAVE!
Gruppo donne RF