Riceviamo e pubblichiamo:
"Ill.mi Capitani Reggenti,
Ill.me Autorità,
scriviamo queste poche righe per sottoporre alle S.V. l'intollerabile situazione che vede coinvolto nostro padre e, di conseguenza, noi.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: non veniamo a perorare la causa di nostro padre; siamo convinte della sua innocenza, e ciò non per ovvie ragioni affettive, ma avendo progressivamente e faticosamente preso contezza della sua vicenda processuale. La nostra convinzione ha quindi basi solide, ma vogliamo qui evitare di imbarazzarvi ed imbarazzarci con risposte di scuola quali quella che la magistratura deve fare il proprio lavoro; il che nessuno mette in dubbio, con il necessario corollario, tuttavia, che ogni custode deve a sua volta essere custodito.
Scriviamo per altro, e qui francamente risposte di comodo ci paiono difficili.
Abbiamo sempre ritenuto di vivere nella Terra della libertà, nostro padre ci ha insegnato ad essere orgogliose di essere sammarinesi. Queste certezze, oggi, vacillano.
Nostro padre è in carcere da un mese e non è mai stato consentito né a noi, né a nessun altro familiare, di visitarlo. Gli è stato concesso di mandarci un rapido saluto per telefono solo due volte e solo dopo ben ventidue giorni di detenzione. Sappiamo che egli è mantenuto in isolamento e che gli è addirittura impedita la lettura dei giornali.
Queste sono condizioni di detenzione indegne di un Paese civile, che non si riservano neppure ai peggiori criminali (ci siamo messe a studiare: non abbiamo trovato un solo ordinamento giuridico che consenta, per nessuna ragione, di impedire l'incontro con i familiari!). Su questo ci permettiamo di sollecitarvi, perché qui è difficile affermare che qualcuno debba fare il proprio mestiere, perché nel ventunesimo secolo a nessuno può essere concesso di fare il mestiere di torturatore e a noi, figlie e cittadine, queste vessazioni (qualcuno, un giorno, ci spiegherà quale ne sia stata l'utilità) nient'altro che torture paiono.
Non ci fermeremo, lo dobbiamo a nostro padre, ma lo dobbiamo anche a tutto quello che lui ci ha insegnato: le ingiustizie non si devono tollerare, a maggior ragione quando, come in questo caso paiono assolutamente gratuite.
Stefania Podeschi
Daniela Podeschi"
"Ill.mi Capitani Reggenti,
Ill.me Autorità,
scriviamo queste poche righe per sottoporre alle S.V. l'intollerabile situazione che vede coinvolto nostro padre e, di conseguenza, noi.
Sgombriamo subito il campo da un equivoco: non veniamo a perorare la causa di nostro padre; siamo convinte della sua innocenza, e ciò non per ovvie ragioni affettive, ma avendo progressivamente e faticosamente preso contezza della sua vicenda processuale. La nostra convinzione ha quindi basi solide, ma vogliamo qui evitare di imbarazzarvi ed imbarazzarci con risposte di scuola quali quella che la magistratura deve fare il proprio lavoro; il che nessuno mette in dubbio, con il necessario corollario, tuttavia, che ogni custode deve a sua volta essere custodito.
Scriviamo per altro, e qui francamente risposte di comodo ci paiono difficili.
Abbiamo sempre ritenuto di vivere nella Terra della libertà, nostro padre ci ha insegnato ad essere orgogliose di essere sammarinesi. Queste certezze, oggi, vacillano.
Nostro padre è in carcere da un mese e non è mai stato consentito né a noi, né a nessun altro familiare, di visitarlo. Gli è stato concesso di mandarci un rapido saluto per telefono solo due volte e solo dopo ben ventidue giorni di detenzione. Sappiamo che egli è mantenuto in isolamento e che gli è addirittura impedita la lettura dei giornali.
Queste sono condizioni di detenzione indegne di un Paese civile, che non si riservano neppure ai peggiori criminali (ci siamo messe a studiare: non abbiamo trovato un solo ordinamento giuridico che consenta, per nessuna ragione, di impedire l'incontro con i familiari!). Su questo ci permettiamo di sollecitarvi, perché qui è difficile affermare che qualcuno debba fare il proprio mestiere, perché nel ventunesimo secolo a nessuno può essere concesso di fare il mestiere di torturatore e a noi, figlie e cittadine, queste vessazioni (qualcuno, un giorno, ci spiegherà quale ne sia stata l'utilità) nient'altro che torture paiono.
Non ci fermeremo, lo dobbiamo a nostro padre, ma lo dobbiamo anche a tutto quello che lui ci ha insegnato: le ingiustizie non si devono tollerare, a maggior ragione quando, come in questo caso paiono assolutamente gratuite.
Stefania Podeschi
Daniela Podeschi"
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