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Csdl: un questionario su donne e lavoro a San Marino

13 mar 2008
Csdl
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Donne e lavoro. Una realtà che cambia anche a San Marino. Così come cambiano i ruoli delle donne all’interno della famiglia. Un rapporto che presenta luci ed ombre. Cresce il numero delle impiegate nel mercato del lavoro, soprattutto nella pubblica amministrazione. Il tasso di occupazione è più alto di quello italiano, e dell’Emilia Romagna. Emergono però fenomeni di segregazione di genere: disuguaglianze che si manifestano in ridotte possibilità di carriera; ruoli medio-bassi nonostante l’alto tasso di scolarizzazione; scarso riconoscimento professionale; difficoltà di occupare posizioni di vertice, pressioni psicologiche da parte di capi e colleghi, e in certi casi, persino molestie. L’indagine della Csdl è stata compiuta grazie ad un questionario inviato a tutta la popolazione femminile occupata in Repubblica. 851 le donne che hanno risposto, circa l’11 % del totale. Si tratta di donne tra i 30 e i 50 anni, in possesso di laurea e impiegate nella pubblica amministrazione, nei servizi alle imprese e nell’industria. L’ingresso nel mondo del lavoro a San Marino avviene piuttosto presto. La maggior parte ha svolto a 14 anni almeno un’attività retribuita; o inizia a lavorare tra i 15 e i 16 anni. Si tratta per lo più di esperienze che si affiancano al percorso professionale. I livelli di istruzione sono infatti alti: il 21% delle intervistate ha conseguito il diploma di laurea, mentre più della metà possiede il diploma di scuola superiore. Sul reddito mensile incide la decisione di utilizzare o meno il part time. Le lavoratrici ad orario pieno guadagnano, per la maggior parte, più di 1.500 euro. Mentre l’87,8% di quelle a tempo parziale, ha uno stipendio che va dai 500 ai 1.500 euro.
Il 40% dice di aver subito discriminazioni. Ad esempio quando il datore di lavoro si accerta, al colloquio di assunzione, delle intenzioni future della lavoratrice, se desidera avere figli. La gravidanza, molto spesso, diventa la ragione per cui vengono interrotti rapporti di lavoro. Un 12,8% delle intervistate denuncia inoltre di essere stata costretta a svolgere, al ritorno dalla maternità, mansioni inferiori. Alcune lamentano di aver subito pressioni psicologiche e molestie verbali e sessuali. Un tre per cento dichiara di non essere stata scelta per mancanza di requisiti fisici. Emerge inoltre che faticano a raggiungere ruoli professionali più elevati a causa di pregiudizi culturali. Ma c’è anche un aspetto paradossale, e per certi versi inquietante: dichiarano di subire discriminazioni da parte di altre donne, soprattutto quando occupano posizioni di potere.
Nelle scelte professionali incide, come è ovvio, anche la famiglia. Rispetto al passato c’è una condivisione dei ruoli, una collaborazione che cresce, anche se le responsabilità maggiori ricadono sulle spalle delle donne. Il contributo del partner nel lavoro domestico si concentra più che altro sulla cura dei figli. Ed è la presenza di bambini piccoli o di famigliari non autosufficienti ad incidere sulla partecipazione femminile al mondo del lavoro.
Il fattore tempo ha un ruolo determinante. Perché è sempre più difficile trovare un equilibrio tra impegni famigliari e professione. Per questo, durante il convegno, è emersa l’esigenza di intervenire sulla flessibilità dell’orario di lavoro, oltre che sulle politiche famigliari e quelle educative. L’obiettivo è quello di considerare la lavoratrice non più come un rischio, ma una risorsa. Poi, dalle relatrici, è arrivata la proposta di puntare l’attenzione su come gli uomini vivono la presenza femminile, per scoprire il loro punto di vista. Perché se è vero che le donne stanno cambiando, anche gli uomini lo stanno facendo.

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