Dai 20 mila e 500 lavoratori dipendenti arrivano ogni anno, nelle casse dello Stato, quasi 20 milioni di euro, il 16 per cento del gettito complessivo. Nel calcolo dell’imposta viene applicato un abbattimento del reddito, in misura del 23 e 6 per cento, che per uno stipendio annuo di 30 mila euro si tramuta in uno sconto di circa 7mila euro. E’ su questo che la riforma si propone di intervenire, facendo scendere al 5% la quota forfettaria per introdurre un sistema di calcolo analitico. Ogni contribuente, cioè, dovrà dimostrare le spese realmente sostenute e detrarle così dall’imponibile. Questo – spiegano i tecnici delle Finanze – consentirà di allargare le varie passività deducibili, ma costringerà i vari soggetti imprenditoriali ad emettere fattura per ogni acquisto o spesa per servizi, su sollecitazione degli acquirenti interessati a documentarle e quindi a dedurle. Il modello fiscale di riferimento è quello americano e negli intenti del riformatore dovrà anche fare emergere un sommerso di erosione fiscale e allargare così la base imponibile. Resta da capire quali saranno le spese deducibili, se solo alcune o tutte quelle che un lavoratore medio sostiene. E’ qui che si giocherà la differenza fra il carico fiscale attuale e quello futuro. Secondo i tecnici della Segreteria alle Finanze l’aliquota media impositiva si ferma oggi al 5,2%, contro il 12 per cento previsto per la prima fascia di reddito, inferiore ai 9.296 euro l’anno. Ci sono altre detrazioni che verrebbero eliminate: quelle che riguardano le spese per la produzione del reddito, oggi pari all’8 e 6 per cento, e la quota esente, oggi intorno ai 77 euro. La proposta di riforma ipotizza anche una “no tax area”, per i redditi sotto un certa fascia, ancora da stabilire, interventi di natura sociale, come un significativo aumento delle detrazioni per i figli o i famigliari a carico.
Sergio Barducci
Sergio Barducci
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