Per molto tempo la storia ufficiale ha sottaciuto sulle foibe istriane. Il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha così deciso di recuperare dedicato il “Giorno del Ricordo” ai morti nelle cavità carsiche. In questi pozzi naturali infatti sono stati gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani fra il '43 e il '47.
La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. La violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l'istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. È una carneficina che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti.
Nel febbraio del 1947 l'italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l'istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Anche la sinistra italiana li ignora.
il Comites San Marino tramite il suo vicepresidente Alessandro Amadei richiama alla memoria gli eccidi ai danni della popolazione italiana ad opera degli slavi avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato secondo dopoguerra nell'Adriatico orientale.
'E’ una ferita ancora aperta - scrive Amadei - quella degli esuli dalmati, istriani e giuliani non solo perché essi attendono ancora un equo indennizzo per i beni che furono loro ingiustamente sottratti, ma soprattutto perché la loro vicenda è stata sempre ignorata dalla storiografia e della classe politica italiana.
Far conoscere ai giovani la tragedia che si è consumata nell'Adriatico orientale significa, secondo Alessandro Amadei, attualizzarne il senso, esortarli a riflettere sul continuo pericolo di un possibile ritorno di quei sentimenti che hanno portato all’eccidio di tanti italiani.
La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. La violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l'istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. È una carneficina che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti.
Nel febbraio del 1947 l'italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l'istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Anche la sinistra italiana li ignora.
il Comites San Marino tramite il suo vicepresidente Alessandro Amadei richiama alla memoria gli eccidi ai danni della popolazione italiana ad opera degli slavi avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell'immediato secondo dopoguerra nell'Adriatico orientale.
'E’ una ferita ancora aperta - scrive Amadei - quella degli esuli dalmati, istriani e giuliani non solo perché essi attendono ancora un equo indennizzo per i beni che furono loro ingiustamente sottratti, ma soprattutto perché la loro vicenda è stata sempre ignorata dalla storiografia e della classe politica italiana.
Far conoscere ai giovani la tragedia che si è consumata nell'Adriatico orientale significa, secondo Alessandro Amadei, attualizzarne il senso, esortarli a riflettere sul continuo pericolo di un possibile ritorno di quei sentimenti che hanno portato all’eccidio di tanti italiani.
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