In materia la vox populi non ha dubbi: anno bisesto, anno funesto. Questa cattiva fama dell'anno più lungo viene da molto lontano. Dai tempi dei romani. E non è una semplice questione di misura, non dipende da un giorno in più o in meno. Ma dalla reputazione magica del mese in cui quel giorno supplementare viene fatto cadere.
Fu proprio Giulio Cesare, per pareggiare i conti con le sei ore circa che ''avanzano'' ogni anno dai 365 giorni canonici a introdurre nel suo calendario un giorno in più ogni 4 anni, subito dopo il 24 febbraio. E poiché il 24 febbraio in latino era il ''sexto die ante Calendas Martias'', quel giorno diventò il ''bis sexto die'', da cui la denominazione ''bisestile''. Per i Romani quello era il mese dei riti dedicati ai defunti, funesto quindi. Un'altra ipotesi è che per gli antichi tutto ciò che era anomalo e non razionale non poteva essere che di cattivo auspicio quindi anche un anno con un giorno in più.
In seguito, fu Papa Gregorio XIII ad accorgersi che con il passare dei secoli il calendario civile non andava d'accordo con il calendario solare e anzi si rischiava di finire a celebrare la Pasqua in estate. Nel 1582 con la bolla papale Inter gravissimas eliminò dunque tre anni bisestili ogni 400. Il giorno in più diventò il 29 febbraio e per quell'anno si riportò l'equinozio di primavera al 21 marzo saltando d'un colpo dal 4 al 15 ottobre.
Non esiste nessun calcolo o base scientifica che avvalori la superstizione per cui l'anno bisestile sia effettivamente un anno funesto anzi a dire il vero nella cultura anglosassone viene considerato un anno fortunato. Ma nonostante il tempo non ci basti mai, non siamo contenti di avere in agenda quella pagina in più. Fosse almeno festivo, il giorno bisesto sarebbe meno indigesto.