In estrema sintesi si potrebbe parlare di vittoria morale del ricorrente; ma San Marino ha comunque evitato un danno economico, che poteva essere ingente. Al centro di questo giudizio della CEDU una complessa vicenda processuale che vedeva coinvolto il conte Enrico Maria Pasquini, condannato a San Marino, nel 2014, a 4 anni di reclusione, ed al pagamento di una robusta provvisionale: oltre 2 milioni e 600.000 euro - l'importo delle somme ritenute oggetto di appropriazione indebita - da versare alla parte civile, ovvero la San Marino Investimenti, rappresentata dai commissari liquidatori. In secondo grado il reato era stato dichiarato prescritto, ma il Giudice aveva comunque deciso di mantenere il risarcimento danni. E questo in virtù di una norma entrata nel frattempo in vigore, l'articolo 196 bis del codice di procedura penale, che prevede che il magistrato d'appello, nel dichiarare la prescrizione, decida sulla parte della sentenza concernente le obbligazioni discendenti dal reato.
Il team legale del creatore della SMI, tuttavia, aveva visto in quanto accaduto una violazione dell'articolo 6 comma 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, sulla presunzione di innocenza. Da qui il ricorso a Strasburgo, affidato alla terza sezione della Corte; collegio giudicante che vede fra le proprie fila anche Gilberto Felici, già commissario della legge sul Titano. Gli avvocati di Pasquini – fra i quali la sammarinese Lara Conti - avevano chiesto, oltre al risarcimento del danno morale, la restituzione di tutto ciò che il loro assistito avrebbe pagato dopo le sentenze sammarinesi. L'Avvocatura dello Stato, dal canto suo, aveva replicato come non fossero state fornite prove circa l'effettiva restituzione alla finanziaria della grossa somma indicata nella provvisionale. Contestato anche il rapporto di causa ed effetto fra la presunta violazione del principio stabilito dalla Convenzione, ed il danno pecuniario reclamato dal conte. La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, alla fine, ha ritenuto di non poter esprimere un giudizio su questa richiesta del ricorrente: economicamente la più “pericolosa” per la Repubblica. Che dovrà invece versare al conte Pasquini 10.000 euro come danno morale, e 5.000 euro per le spese del procedimento. Riconosciuta infatti – con una maggioranza di 6 voti ad 1 - la violazione del principio che prevede che ogni persona accusata di un reato sia presunta innocente, fino a quando la propria colpevolezza non sia legalmente accertata. Unica voce fuori dal coro quella del giudice Felici, che in punta di diritto ha illustrato le ragioni del suo dissenso, ricordando, fra le altre cose, la strategia processuale adottata da Pasquini in appello.