“Tornare alla normalità” può assumere significati diversi. Soprattutto oggi. Soprattutto in nord Africa. “La voglia di normalità” che si respira in Egitto, tra la gente, non è la stessa che vorrebbe chi governa. Non ha nulla a che vedere con la consuetudine, l’ordine, il recarsi al lavoro. E’ l’aspirazione alla democrazia, alla libertà. E’ quell’ideale che spinge in piazza, che fa sfidare il regime brandendo cartelli di protesta e urlando slogan. E’ lo stesso sogno che da questa mattina sta raccogliendo migliaia di persone in quella che è divenuta il simbolo della rivolta contro il presidente Mubarak: quella piazza Tahrir che dal 25 gennaio fa risuonare nel mondo rabbia e speranze del popolo egiziano. Il prezzo pagato è stato alto. Almeno 297 le persone uccise durante le manifestazioni antigovernative. Oggi, però, il presidente ha elogiato i giovani d'Egitto ordinando che non siano perseguiti e che sia loro riconosciuto il diritto di espressione in piazza. Ha anche disposto un comitato di indagine sulle violenze di mercoledì scorso. Mubarak ha promesso un processo di riforme. E come prova di buna volontà ha fatto rilasciare 34 prigionieri politici. Ma i “nuovi bisogni” della gente passano attraverso la fine dell’era Mubarak e il via libera ad processo di transizione, auspicato da Stati Uniti ed Europa.
Monica Fabbri
Monica Fabbri
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