L'addestramento di almeno 230 nuove reclute – hanno affermato fonti della coalizione a guida statunitense – è già in corso. L'obiettivo è creare una guardia di frontiera di 30.000 uomini, composta – almeno per metà – da miliziani curdo-arabi delle cosiddette “Forze democratiche siriane”. Sarebbero, probabilmente, i prodromi di un Rojava indipendente sotto tutela americana. Prospettiva inaccettabile per Damasco. “La decisione di Washington – hanno fatto sapere fonti governative – rientra nel quadro della sua politica di distruzione della regione”. Effetto destabilizzante confermato anche dalla reazione infuriata di Erdogan, che in più occasioni aveva ribadito di non poter tollerare il rafforzamento – al confine siriano – di una milizia che ritiene legata a doppio filo con il PKK. “Affonderemo questa forza terrorista prima che nasca” - ha detto il Presidente turco -, che ha minacciato un'operazione, nel nord della Siria, contro le enclave curde ad ovest dell'Eufrate. Tutto ciò potrebbe fare avvicinare ulteriormente Ankara a Mosca. “Le azioni – ha dichiarato Serghei Lavrov - dimostrano che gli Stati Uniti non vogliono mantenere l'integrità territoriale della Siria”. E pensare che il quadro geopolitico si stava invece lentamente ricomponendo, dopo i colloqui di Astana, e l'offensiva travolgente dei Governativi nella sacca jihadista di Idlib. Di questi giorni anche la notizia della dura risposta del Cremlino, all'attacco alla base di Hmeymin del 31 dicembre. I miliziani fondamentalisti, responsabili dell'azione, sono stati individuati dalle forze speciali russe e spazzati via da sistemi di artiglieria ad alta precisione.
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