Non stiamo parlando di problemini, di questioncelle, di diritti male interpretati. Stiamo parlando e lottando per un bene dell’uomo e della società nella prospettiva di una civiltà che salvi realmente l’umano nell’uomo. Non ci bastano slogans, non ci fermiamo all’ovvio (il nuovo oppio dei popoli) che ripete come un disco rotto il mantra dei diritti a senso unico, quelli che cancellano l’unico diritto del bimbo indifeso, quello di venire al mondo, lui che non ha fatto nulla per entrarvi e che non capisce perché deve uscirne. Ripensando a quanto sta accadendo in Repubblica, proprio sul tema dell’aborto, mi sono imbattuto in questa riflessione di Pasolini che, con la sua lucidità e libertà di giudizio, riflette sul tema, provocato dagli otto referendum proposti dai radicali, tra cui quello sulla liberalizzazione dell’aborto. Sono pensieri «tosti», con cui vale la pena misurarsi. E sono stati espressi con il titolo di questo contributo sul Corriere della Sera già da qualche anno e poi raccolti in un libro. Proviamo a rileggerli: «Sono (…) traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano — cosa comune a tutti gli uomini — io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell’aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo. La prima cosa che vorrei invece dire è questa: a proposito dell’aborto, è il primo, e l’unico, caso in cui i radicali e tutti gli abortisti democratici più puri e rigorosi, si appellano alla Realpolitik e quindi ricorrono alla prevaricazione «cinica» dei dati di fatto e del buon senso. Se essi si sono posti sempre, anzitutto, e magari idealmente (com’è giusto), il problema di quali siano i «principi reali» da difendere, questa volta non l’hanno fatto. Ora, come essi sanno bene, non c’è un solo caso in cui i «principi reali» coincidano con quelli che la maggioranza considera propri diritti. Nel contesto democratico, si lotta, certo, per la maggioranza, ossia per l’intero consorzio civile, ma si trova che la maggioranza, nella sua santità, ha sempre torto: perché il suo conformismo è sempre, per propria natura, brutalmente repressivo. Perché io considero non «reali» i principi su cui i radicali e in genere i progressisti (conformisticamente) fondano la loro lotta per la legalizzazione dell’aborto? Per una serie caotica, tumultuosa e emozionante di ragioni, lo so intanto, come ho detto, che la maggioranza è già tutta, potenzialmente, per la legalizzazione dell’aborto (…). L’aborto legalizzato è infatti — su questo non c’è dubbio — una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito — l’accoppiamento eterosessuale — a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli. Ma questa libertà del coito della «coppia» così com’è concepita dalla maggioranza — questa meravigliosa permissività nei suoi riguardi — da chi è stata tacitamente voluta, tacitamente promulgata e tacitamente fatta entrare, in modo ormai irreversibile, nelle abitudini? Dal potere dei consumi, dal nuovo fascismo. Esso si è impadronito delle esigenze di libertà, diciamo così, liberali e progressiste e, facendole sue, le ha vanificate, ha cambiato la loro natura. Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Insomma, la falsa liberalizzazione del benessere, ha creato una situazione altrettanto e forse più insana che quella dei tempi della povertà.» Forse non tutto quanto espresso da Pasolini ci troverà d’accordo, certo però è che il problema affrontato e il giudizio comunicato non possono lasciarci indifferenti. In questa società del consumo, oramai terrorizzata dal timore per la pandemia in atto, in un contesto che Papa Francesco definisce di «catastrofe educativa», non sarebbe male cercare delle strade che ci aiutino a realizzare quel bene comune (e quella cara libertà) che apriranno spazi nuovi di convivenza. L’aborto non è una conquista civile, è un ritorno a quella barbarie del consumismo che a parole condanniamo ma che accettiamo a volte supinamente. Ragionare e dialogare, senza steccati e chiusure preconcette, potrebbe aprire un’era nuova nella nostra vita comune. E forse dare alla comunicazione e alla politica quel respiro di bellezza che è nella nostalgia di tutti noi. Quello che Pasolini dice sul «coito» potrebbe essere interpretato come l’invito alla bellezza dell’amore tra l’uomo e la donna, giovani o adulti, che costituisce quanto dipiù umano sia nella nostra esperienza. Don Gabriele Mangiarotti
c.s. Don Gabriele Mangiarotti