Anche se ancora la campagna elettorale vera e propria non è iniziata (partirà ufficialmente il 20 maggio), tutte le forze politiche in campo hanno già da tempo iniziato a manifestare con ogni mezzo di comunicazione i temi con i quali intendono presentarsi ai cittadini. Dominanti sono, da una parte il racconto delle cose fatte, e quindi la necessità di continuità, soprattutto per i partiti che hanno avuto responsabilità di governo nella legislatura appena conclusa, dall'altra, per le forze che sono state all'opposizione, prevalentemente le criticità presenti e le riforme mancate. È evidente che tutti i temi avrebbero necessità di un approfondimento che la forte contrapposizione nei toni di questo periodo non consente e, quindi, i cittadini non sono aiutati più di tanto a comprendere qual è la posta in gioco della scelta che sono chiamati a compiere, alimentando così ancor più la sfiducia nell’utilità del voto. Anche per questa ragione vorrei porre all'attenzione di tutti un fattore che a mio avviso è a fondamento della democrazia rappresentativa e che dovrebbe essere alla base del metodo con cui andrebbe svolta ogni azione di governo qualunque sia il problema che si debba affrontare. Giuliano Amato nella lezione con la quale si è inaugurato l'anno accademico della nostra università ha dichiarato che oggi la democrazia è difficile perchè siamo in un contesto sociale in cui le vite si sono individualizzate e il mondo è cambiato: come può funzionare una democrazia alle prese con tanti “io” isolati, con tante ansie, con tante paure e con pochi legami collettivi? La democrazia infatti non può essere semplicemente intesa come governo eletto dai cittadini, ma va praticata come governo che adotta politiche, fa scelte, che provengono dagli stessi cittadini e che da essi sono discusse, condivise, non necessariamente ritenute collimanti per ciascuno con i propri interessi e, tuttavia, accettate in nome di un bene comune senza il quale la democrazia non riesce ad esistere. Questo dovrebbe essere il metodo di una politica democratica e questa è la condizione che dovrebbe essere sottesa ad ogni questione che con realismo la politica sia chiamata ad affrontare, a maggior ragione proprio in questo tempo in cui tutte le maggiori conquiste del dopoguerra, a cominciare da quella della pacifica convivenza, sembrano essere messe in discussione dagli eventi di guerra a noi sempre più vicini e dalla violenza presente anche nelle nostre società evolute. Recuperare nella vita interna dei partiti e nella dialettica delle istituzioni questo fondamento mi sembra la priorità delle priorità e la possibilità di ravvivare ragionevolmente e consapevolmente la partecipazione dei cittadini. Ma su un fatto occorre essere chiari: la sfiducia nella politica, anche per come la stessa molte volte viene praticata, non può giustificare il disinteresse e la non partecipazione perché è ciascuno di noi che col proprio voto può scegliere chi delegare al governo della cosa pubblica e come contribuire a migliorare la qualità della stessa. Mi auguro che prima del 9 giugno questa preoccupazione possa entrare anche nel dibattito della campagna elettorale e soprattutto possa animare l’attività politica della prossima legislatura.
cs Pasquale Valentini