Il debito con l’estero rappresenta la spada di Damocle che tutti i cittadini della Repubblica di San Marino hanno sulla loro testa. Se è vero che il problema prende origine dal dissesto che ha subito il sistema finanziario a partire dal 2009, ancor più gravi sono le scelte scellerate che il governo in carica ha fatto per necessità di soldi. “Tirèmm inànz” diceva il patriota milanese mentre veniva condotto al patibolo, questa è la logica del governo che non affronta mai i problemi strutturali, ma cerca di trovare le soluzioni provvisorie che sono spesso più dannose del problema stesso. Così da un giorno all’altro sono stati presi da una società (molto discussa del paradiso fiscale del Delaware) 150 milioni di euro da restituire in un anno ad un tasso e pagando commissioni spaventose ai soliti noti, poi, con lo stesso metodo sono stati collocati sui mercati finanziari 340 milioni di titoli del debito pubblico ad un tasso (3,25%) doppio, a volte triplo rispetto a quello pagato da altri Stati, con scadenze tra l’altro brevissime (tre anni) di rimborso. Debito che dovrà essere per forza rinnovato entro il 31 dicembre 2023 nelle pessime condizioni in cui versa l’economia europea. Tutto ciò mentre il debito dello Stato sta incrementando a ritmi spropositati: dai 774 milioni di euro del 2017, determinati per oltre il 60% (475 milioni) dalla crisi della Cassa di Risparmio, il debito è cresciuto fino a toccare la quota di 1 miliardo e 56 milioni alla fine del 2019 (incremento dovuto essenzialmente dal fallimento del Cis costato, per il momento 212 milioni). Da allora non ci sono più state crisi bancarie, ma il debito ha continuato a salire fino a raggiungere la quota odierna di 1 miliardo e 255 milioni. Come faccia il Fondo Monetario a dire che la finanza pubblica sammarinese va bene è ovviamente un mistero dato che il debito pubblico ha raggiunto in pochi anni la quota dell’80% del Pil. Se si escludono i debiti accumulati per le banche, ogni anno comunque il bilancio dello Stato perde 50/60 milioni di euro. La perdita è presente anche per il 2022, sebbene il Segretario di Stato dica che il bilancio è in pareggio se non in attivo, un risultato che ottiene rimborsando meno debiti di quelli previsti dalle quote di ammortamento previste, cioè di fatto spostando in avanti il debito. Questa è una logica che ha un preciso colore politico diventato linea guida di una maggioranza, nata per salvare il Paese con le riforme difficili che solo i grandi numeri potevano affrontare, e che invece si scioglie come neve al sole di fronte alle difficoltà oggettive rimediando solo riformette di tamponamento e pagando cifre spropositate di interessi e commissioni per non finire soffocata. Appare in tutta evidenza la natura di questa gestione che assomiglia a quella di chi, pur di salvare la propria barca, inventa le più strane strategie capaci forse di spostare in avanti il pagamento della cambiale, ma facendo diventare il conto sempre più salato e scaricandolo sulle spalle della prossima generazione. Il governo non affronta il nodo cruciale per cui è nato che è quello di fermare l’indebitamento e generare una quota di attivo capace di pagare i rimborsi dei prestiti ottenuti. Per farlo ci sono solo quattro modi: 1) una riforma ‘vera’ del sistema pensionistico in grado di fermare lo sbilancio fra l’erogato e l’incassato ( ed invece, per paura oincapacità, il governo, anche dopo la riformetta, dovrà attingere 20 milioni all’anno nei prossimi tre anni dai fondi pensione, depauperando una delle poche risorse ancora presenti nel Paese). 2) una riforma del sistema fiscale (diretto ed indiretto) capace di far emergere i redditi non dichiarati o favoriti da agevolazioni non dovute e le partite commerciali che, sfuggendo ad un controllo più attento, non lasciano all’erario quanto effettivamente dovuto. 3) una politica di razionalizzazione della spesa che, introducendo elementi di efficienza amministrativa, renda meno costosa la macchina statale riducendo allo stretto necessario le consulenze (politica che il governo ha completamente dimenticato considerate le quasi 100 nuove assunzioni effettuate nei primi 9 mesi dell’anno in corso e le spese folli per consulenze che si registrano ogni giorno); 4) una politica di investimenti in grado di sostenere l’economia e quindi di aumentare il Prodotto Interno Lordo e la base imponibile. I 340 milioni presi a prestito sono stati bruciati nel pagamento degli stipendi e dei rimborsi al sistema bancario che è comunque talmente asfittico, da non riuscire a sostenere le esigenze di credito delle famiglie e delle imprese. Se almeno gran parte di quella cifra fosse stata investita in opere pubbliche,soprattutto legate all’approvvigionamento delle fonti energetiche rinnovabili e dell’acqua, nel favorire l’attuazione di un PRG sostenibile (Boeri), nel consentire la nascita di nuove imprese, magari a capitale sammarinese, e nell’efficentamento dell’amministrazione, oggi si potrebbe contare su una quota aggiuntiva di economia capace di generare gettito fiscale e soprattutto di un Paese migliore. Libera, che ha abbandonato un governo perché non ha voluto fare debito estero prima che queste riforme fossero state decise, intende denunciare questa situazione e chiedere che la politica si metta finalmente a fare il proprio mestiere che è quello di operare per il bene pubblico e garantire il futuro alle giovani generazioni.
c.s. Libera