Apparentemente una sorta di captatio benevolentiae nei confronti dell'alleato riottoso, quella di Anthony Blinken; che intervenendo a Riad – al Consiglio di cooperazione tra Stati Uniti e Paesi del Golfo – ha dichiarato come la principale fonte di instabilità nella Regione sia l'Iran. Tra le righe un messaggio di vicinanza ad Israele; di condivisione delle priorità strategiche. E ciò, forse, per rendere più efficace la moral suasion sul dossier più delicato: la paventata operazione di terra su Rafah. Che potrebbe avere conseguenze catastrofiche, visto l'altissimo numero di profughi; e che la Casa Bianca tenta in ogni modo di scongiurare. Essendo fra le altre cose fonte di imbarazzo, in piena campagna elettorale. In un colloquio telefonico con il Premier dello Stato Ebraico, Biden avrebbe ribadito ancora la propria contrarietà al piano di invasione.
Centrale, Rafah, anche nelle trattative per un cessate il fuoco in corso al Cairo. Nella controproposta israeliana, infatti – oltre all'ok ad un ritorno degli sfollati nel nord della Striscia -, vi sarebbe anche uno stop all'azione – data per imminente – contro la città di confine. E ciò in cambio del rilascio degli ostaggi. Che rappresentano tuttavia per Hamas una sorta di assicurazione per prevenire l'annientamento. Per questo motivo la fazione islamica insiste piuttosto su una cessazione permanente delle ostilità. Teoricamente ancora molto distanti, insomma, le parti. Attesa comunque in giornata una risposta, da parte del gruppo armato palestinese; un cui alto esponente ha smentito chi ipotizzava forti aperture.
Anche perché nel frattempo proseguono i bombardamenti sull'exclave. Al Jazeera ha riportato l'uccisione di 27 palestinesi – tra cui molte donne e bambini – in raid notturni su Gaza City e Rafah. Sui colloqui in Egitto pesano anche le indiscrezioni riguardanti la possibile emissione di mandati d'arresto, ad alti esponenti della leadership israeliana, da parte della Corte penale internazionale. I media hanno riferito di telefonate continue nel fine settimana, da parte di Netanyahu, nel tentativo di convincere gli Stati Uniti a bloccare qualsiasi decisione del tribunale dell'Aja.