I lavoratori spagnoli dei servizi non essenziali, come l'edilizia o l'industria, da oggi tornano ai loro posti dopo due settimane di chiusura totale. La Spagna prova dunque a ripartire, seppure fra rigidissime misure di igiene e sicurezza. Una ripartenza - ricorda l'edizione online de El Pais – contestata da molti operatori sanitari e da parte delle forze politiche e amministrazioni territoriali, come ad esempio la Catalogna e la Comunidad de Madrid. Per il governo si tratta non di una vera e propria apertura perché si torna semplicemente alle condizioni meno rigide imposte il 14 marzo. Ciò significa che la maggior parte della popolazione rimarrà a casa e che resteranno chiusi anche scuole, bar, ristoranti e attività culturali e ricreative. L'esecutivo di Pedro Sánchez ha inoltre deciso di aumentare la distribuzione gratuita dei dispositivi personali di sicurezza: sono infatti a disposizione 10 milioni di mascherine per chi sarà costretto ad andare a lavoro coi mezzi pubblici.
Ed anche esperti e scienziati ammettono che si sta giocando sul campo dell'“incertezza”: “Nessuno sa se prolungare il blocco per altri cinque giorni avrà un beneficio o se invece peserà di più l'impatto economico. Nessuna decisione può essere radicale”, ha affermato Toni Trilla, epidemiologo e membro del comitato scientifico per il governo. Con questa nuova aperta, aggiunge Trilla, “la mobilità urbana aumenterà di appena il 10%”, ma gli altri devono rimanere nelle case. “Un rischio modesto”, concorda l'epidemiologo Joan Ramon Villalbì. La virologa Margarita del Val considera questa ripresa come "affrettata". Ed anche i sindacati del personale sanitario non lo vedono favorevolmente: “Continuiamo alla cieca”, affermano. Si stanno allentando le misure di contenimento “senza sapere quante persone sono asintomatiche. Potrebbe esserci un focolaio in qualsiasi momento”, si rammarica di María José Campillo, tesoriere del Cesm, la Confederazione spagnola dei sindacati medici.