Noa Pothoven, la 17enne olandese, morta domenica dopo anni di sofferenze per la depressione di cui soffriva, si è lasciata morire di fame e di sete. Nessuna morte assistita da un team medico quindi, ma un suicidio, consumato in casa, circondata dalla sua famiglia.
La stessa Noa, dal suo profilo Instagram, in un post datato un paio di giorni prima del decesso, raccontava di aver smesso di alimentarsi e di stare per "essere liberata". "Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò - aveva scritto Noa, rendendo noto il suo proposito -. Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso di mangiare e bere da un po' di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro, ma non vivo più".
Noa, che soffriva di una grave forma di depressione, di stress post traumatico, dopo essere stata abusata da bambina, e di anoressia, aveva fatto richiesta a una clinica specializzata, per ottenere l'eutanasia, ma le era stata negata.
La notizia è rimbalzata sui media italiani e internazionali. Inizialmente si è parlato di eutanasia, ma il caso di Noa si è rivelato essere altro. La 17enne aveva infatti chiesto di poter accedere alla "dolce morte", ma in realtà non era mai arrivato il consenso. Da qui la decisione, presa assieme alla sua famiglia, di "fare da sè", lasciandosi di fatto morire di fame e di sete.