La seduta mattutina della Commissione consiliare finanze si era chiusa con il richiamo della presidente Maria Luisa Berti ad approfondire gli emendamenti e a non trasformare il progetto di legge sulla rappresentatività in motivo di scontro più di quanto non lo sia già tra parti sociali ed economiche. “Ci sono i presupposti per fare un buon lavoro – aveva detto la Berti - sarebbe un bel segnale che questa Commissione dà al Paese”. Politica dunque alla prova dei fatti: dall'esame dell'articolato, cominciato nel pomeriggio e che proseguirà domani, la contrapposizione però permane. Respinti tutti gli emendamenti finora presentati dall'opposizione, tranne uno di Civico 10. Già in mattinata forti critiche al provvedimento erano state espresse soprattutto dai commissari di minoranza: Roberto Ciavatta di Rete ritiene che la normativa esprima “il patto tra i grandi e serva per redimere i conflitti eliminando il problema”. Contrario anche Paolo Crescentini, Ps: “La legge, così come è stata presentata – ha anticipato - il mio partito non la voterà”. Luca Beccari, Pdcs, ha evidenziato invece come la rappresentatività debba basarsi su regole chiare. “Al di là dei numeri – ha aggiunto - dovrebbe essere chiaro che il tentativo che si fa con questa legge non è discriminatorio”. Gli dà man forte Milena Gasperoni, Psd che indica tre punti – a suo parere - inderogabili: il mantenimento dell'efficacia erga omnes, la considerazione del datore di lavoro che “abbia almeno un dipendente”, e l'adesione del lavoratore, “anche con una quota simbolica” al mondo sindacale”. Nel mezzo Valeria Ciavatta, Ap e Massimo Cenci, Ns: entrambi mal sopportano il ruolo da giudici che spetta alla Commissione e al Consiglio in questo contenzioso. “Il rischio – si è detto - è quello di fare scelte per fazioni in un clima non sereno”. Per alcuni, come Andrea Belluzzi, Psd, in generale andava maggiormente tutelata la piccola impresa prima di affrontare l'ambito della contrattazione.
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