Adesso raccontano che se fosse rimasto a terra dopo il primo scivolone, forse l’avrebbero salvato. Adesso parlano un po’ tutti, mentre il destinaccio se la ride e riscrive la lista dei convocati. Doveva fermarsi, sussurrano. Invece si è rialzato fino a tre volte, fino a non poterne più. E’ morte di cuore o di cervello, è morto di vita dopo 26 anni nei quali ha perso entrambe i genitori e pure un fratello ma non la voglia di combattere. Ha perso l’etichetta di predestinato, lui così bravo nelle giovanili e poi fermo da qualche anno in serie B. Sbatacchiato dalla sorte, tradito dal suo corpo, la sua azienda. Ha assaggiato appena la serie A, e forse non era roba sua. Ma tra i cadetti ci stava con coraggio, con orgoglio, con la testa alta e la generosità che ne ha fatto per i tifosi, Super Mario, l’altro Super Mario, l’antidivo, il mite, il ragazzo con la faccia pulita non baciato da chissà che talento. Di chi sa di dover lottare per non tornare a casa. Dove invece è tornato ieri, con gli scarpini da calcio che per Pier Mario Morosini sono stati da sempre il sogno e il vestito buono. Tanto per far qualcosa, gli hanno anche acceso intorno la polemica. E’ davvero il caso di fermare tutto? In pochi minuti non sempre si trova la soluzione più giusta, e allora si sceglie la più semplice. Che è anche la più rispettosa.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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