Non era mai accaduto nella storia moderna del più popoloso paese arabo. Oltre un milione di egiziani sono scesi in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Mubarak e del suo nuovo governo. Ma erano in migliaia ovunque: al Cairo, nelle strade di Alessandra, Ismailia, Suez e nel Sinai. Dalle 30 alle 50mila persone nelle città dell'alto Egitto. Questa la risposta all'appello degli attivisti, che avevano invocato la "marcia del milione" per esprimere rabbia contro Mubarak e il suo regime, che dura da 30 anni. “Se ne va lui, non noi", scandivano i dimostranti al Cairo, in uno scenario completamente diverso da quello di guerra civile di solo pochi giorni fa. E ai cittadini si sono aggiunti in alcuni casi anche i soldati, chiamati a controllare il raduno. Il leader dell’opposizione El Baradei, ha detto che il dialogo sarà possibile solo dopo che il presidente avrà abbandonato il potere. E, ha ribadito, deve andarsene entro venerdì. Gli analisti politici non discutono più della possibilità che Mubarak si dimetta, ma di come e quando questo avverrà. La disintegrazione del sistema di potere del presidente egiziano segnerebbe una svolta, riconfigurando anche la mappa geopolitica del Medio Oriente, con enormi ricadute per gli Stati Uniti e i suoi alleati che vanno da Israele all'Arabia Saudita. L’attenzione adesso si focalizza su come i gruppi islamici, come i Fratelli musulmani, potranno guadagnare potere in qualsiasi nuovo sistema politico egiziano. L’Irani saluta la rivolta in Egitto come una replica della sua stessa rivoluzione. Il tempo dell’arroganza globale è finito, ha detto il Ministro degli Esteri di Teheran. I cambiamenti in corso nei Paesi arabi finora vicini all'Occidente porteranno a "un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele. Parole suscettibili di confermare nelle sue preoccupazioni il premier israeliano Netanyahu, che ieri ha detto di temere che in Egitto possa emergere un regime islamico radicale come in Iran.
Sonia Tura
Sonia Tura
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