A Damasco i ribelli che hanno preso il potere cercano di tracciare una linea di demarcazione con il passato, dopo 54 anni di regime della famiglia Assad. Viene bruciata la tomba dell'ex presidente Hazef e la prima riunione del nuovo governo di transizione, presieduto dal premier Muhammad Bashir fino a marzo 2025, fa bella mostra della bandiera jihadista. “Il mondo non ha nulla da temere”, rassicura il leader dei ribelli Al Jolani. Intanto Mosca conferma che l’ex presidente siriano è al sicuro in Russia e fa sapere che non lo consegnerà alla Corte penale internazionale. In varie città siriane, decine di esecuzioni sommarie contro le milizie a lui fedeli. “Non c’è dubbio che quanto successo sia parte di un piano degli Stati Uniti e di Israele”, attacca la Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei. Nel frattempo l'esercito di Tel Aviv ha attraversato il confine che divide Israele dalle alture del Golan, una zona cuscinetto precedentemente smilitarizzata all’interno della Siria, per “stabilire un’area difensiva – dice – priva di armi e minacce terroristiche. Più di 350 gli attacchi aerei su obiettivi militari. E mentre il mondo si interroga sui possibili scenari, arriva l'appello del Papa: “Per la Siria auspico pace e stabilità”.