Il problema scoppia nel 1997, con una circolare del ministero italiano alle finanze, e dopo una serie di proroghe viene affrontato dalla convenzione Italia-San Marino del 2002, ancora da ratificare, e che prevede il varo di una legge ordinaria per fissare il trattamento fiscale dei frontalieri. Il memorandum d’intesa prevedeva una proroga ma, l’anno dopo, con la Finanziaria 2003 si introduce la doppia imposizione dei redditi frontalieri, prevedendo un’area no-tax di 8mila euro. “Un provvedimento - sottolinea il sindacato - che oltre a non rispettare la convenzione, è iniquo e penalizzante per i bilanci di migliaia di famiglie romagnole e marchigiane”. Inoltre in base ad un accordo del ‘74, San Marino versa all’Italia un rimborso sanitario mensile di 170 euro per ogni frontaliere occupato sul Titano. Alla fine del 2007 i frontalieri occupati a San Marino erano 6.212, pari al 40% dei lavoratori del settore privato. Con il contratto di lavoro del 2007 è partita una progressiva stabilizzazione che ha comportando l’uscita dalla precarietà per circa 2mila frontalieri. “Questo - ricorda la CSU - in rispetto agli impegni presi da San Marino al tavolo dei rapporti bilaterali con l’Italia”. Allo stesso tavolo il governo sammarinese ha chiesto di rivedere e migliorare l’attuale trattamento fiscale per i frontalieri. Nell’ultima Finanziaria la franchigia di 8mila euro è stata confermata con voto a larghissima maggioranza e prorogata di tre anni. Ma resta aperto il problema di un innalzamento dell’area no-tax che, ormai ferma dal 2003, risulta inadeguata sia rispetto al progressivo aumento del costo della vita, che al progressivo inasprimento fiscale introdotto dalla doppia tassazione.
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