Le dichiarazioni di ieri di Dmitri Medvedev hanno rievocato sull’opinione pubblica venti di guerra fredda e lo spettro di una nuova corsa al riarmo. Pur sottolineando che “la Russia non chiude la porta” al dialogo, il leader del Cremlino ha minacciato ieri una risposta in più fasi se dovessero fallire i negoziati con Washington e con la Nato: missili strategici a lungo raggio più sofisticati, missili balistici a corto raggio ai confini meridionali ed occidentali del Paese, tra cui gli Iskander nell’enclave di Kaliningrad in Europa, e l’uscita dal nuovo Start, il trattato russo-americano sul disarmo nucleare firmato nell’aprile 2010 con il presidente Usa Obama. Contromisure già ventilate in passato ma ribadite ora sullo sfondo di una campagna elettorale (il 4 dicembre si vota per il parlamento) dai toni nazionalisti che vede un generale calo di consenso per Putin, Medvedev e il loro partito Russia Unita. Potrebbe quindi non guastare per il tandem far leva su un antiamericanismo ancora diffuso.
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