Una giornata a dir poco convulsa, quella del Segretario politico della DC, Pasquale Valentini, impegnato nel tentativo di ricucire lo strappo del dopo Consiglio centrale.
Alle dimissioni di una figura storica, come quella di Giuseppe Arzilli, hanno fatto seguito altri atti, in qualche modo annunciati, che pesano come macigni su quell’unità tanto invocata al recente congresso democristiano.
Lasciano la direzione, o meglio rimettono il loro mandato nelle mani del Segretario, Pier Marino Menicucci, il Vicesegretario appena eletto, Giammarco Marcucci, Federico Bartoletti, Claudio Muccioli e Francesco Mussoni.
Una presa di posizione in massa per ribadire la contrarietà ad un metodo, il disagio per quel mancato rinnovamento da tutti auspicato, la contestazione per una serie di nomine e di esclusioni non condivise.
“Il 12 marzo, la sera del Consiglio centrale, è avvenuto un fatto grave - scrivono al Segretario al quale però i 5 dimissionari riconoscono la assoluta lealtà e non lo ritengono in alcun modo responsabile di quanto accaduto - ma c’è qualcuno – denunciano -che ha invece compiuto un atto molto grave che pone le basi per minare seriamente quell’unità del partito per la quale – aggiungono – abbiamo lavorato e ricercato con convinzione nelle fasi preparatorie e durante l’intero Congresso".
Di qui la decisione di rimettere in mandato e di non entrare a far parte di quella direzione. Secondo le indiscrezioni domani potrebbe essere divulgato un documento, sul cui contenuto ancora nessuno si scopre ma che pare destinato a fare clamore, e che potrebbe essere firmato da diversi consiglieri.
E’ un vero e proprio terremoto che fa tremare la Democrazia cristiana.
Valentini ha tenuto in giornata una sequenza di riunioni e colloqui alla ricerca di un punto di mediazione che al momento non è stato trovato.
Non ritiene coretta la lettura di correnti contrapposte, Valentini, di qualcuno cioè che abbia impedito l’elezione di certe persone, "a decidere – afferma - è stata l’assemblea nonostante la mia diversa indicazione. Le persone escluse – dichiara il Segretario – avrebbero dovuto entrare in direzione per portare il loro auspicabile contributo ed accrescerne l’autorevolezza. Questa mancata nomina – aggiunge - non è da interpretare come un cambio della linea emersa dal Congresso, le ragioni possono essere tante".
E nel pomeriggio si è aggiunto un nuovo colpo di scena alla tormentata vicenda che attraversa la Dc: con una lettera inviata al neo Presidente, Lorenzo Lonfernini e al Segretario, Gabriele Gatti annuncia la decisione di non accettare la nomina in direzione.
"Lo faccio – scrive – per spirito di servizio, in conseguenza dei malumori conseguenti alla nomina di questo organismo, che potrebbero indebolire l’azione del nostro partito". Un passo indietro che Gatti spiega aver deciso di compiere in nome del rinnovamento, che condivide pienamente, e nella convinzione che l’unità del partito sia un bene primario che vanga prima delle persone. "Una decisione – fa rilevare – che segue quella di pochi giorni fa quando – dichiara – con lo stesso spirito avevo messo a disposizione l’incarico di Presidente del Gruppo consiliare".
E sulla vicenda intervengono gli autosospesi democristiani che definiscono "nell’ordine naturale delle cose le conseguenze di un congresso – scrivono – combattuto solo sul piano della supremazia personale e non sulle idee".
Per loro gli oltre 400 delegati hanno raccolto il richiamo all’unità "non sapendo invece di assecondare – scrivono – i deliri di qualcuno e le ambizioni di altri. E non servirà neppure la farsa – aggiungono – delle dimissioni di molti membri della direzione tra cui – affermano – il regista principale dell’intera operazione, inventata solo per rimettere in discussione un risultato che a troppi ha dato fastidio. I ventuno firmatari – concludono – del documento del 4 ottobre, erano forse temerari ma non visionari e oggi il popolo democristiano l’ha capito e sempre più numeroso si avvicina a loro e al percorso che stanno compiendo".
Alle dimissioni di una figura storica, come quella di Giuseppe Arzilli, hanno fatto seguito altri atti, in qualche modo annunciati, che pesano come macigni su quell’unità tanto invocata al recente congresso democristiano.
Lasciano la direzione, o meglio rimettono il loro mandato nelle mani del Segretario, Pier Marino Menicucci, il Vicesegretario appena eletto, Giammarco Marcucci, Federico Bartoletti, Claudio Muccioli e Francesco Mussoni.
Una presa di posizione in massa per ribadire la contrarietà ad un metodo, il disagio per quel mancato rinnovamento da tutti auspicato, la contestazione per una serie di nomine e di esclusioni non condivise.
“Il 12 marzo, la sera del Consiglio centrale, è avvenuto un fatto grave - scrivono al Segretario al quale però i 5 dimissionari riconoscono la assoluta lealtà e non lo ritengono in alcun modo responsabile di quanto accaduto - ma c’è qualcuno – denunciano -che ha invece compiuto un atto molto grave che pone le basi per minare seriamente quell’unità del partito per la quale – aggiungono – abbiamo lavorato e ricercato con convinzione nelle fasi preparatorie e durante l’intero Congresso".
Di qui la decisione di rimettere in mandato e di non entrare a far parte di quella direzione. Secondo le indiscrezioni domani potrebbe essere divulgato un documento, sul cui contenuto ancora nessuno si scopre ma che pare destinato a fare clamore, e che potrebbe essere firmato da diversi consiglieri.
E’ un vero e proprio terremoto che fa tremare la Democrazia cristiana.
Valentini ha tenuto in giornata una sequenza di riunioni e colloqui alla ricerca di un punto di mediazione che al momento non è stato trovato.
Non ritiene coretta la lettura di correnti contrapposte, Valentini, di qualcuno cioè che abbia impedito l’elezione di certe persone, "a decidere – afferma - è stata l’assemblea nonostante la mia diversa indicazione. Le persone escluse – dichiara il Segretario – avrebbero dovuto entrare in direzione per portare il loro auspicabile contributo ed accrescerne l’autorevolezza. Questa mancata nomina – aggiunge - non è da interpretare come un cambio della linea emersa dal Congresso, le ragioni possono essere tante".
E nel pomeriggio si è aggiunto un nuovo colpo di scena alla tormentata vicenda che attraversa la Dc: con una lettera inviata al neo Presidente, Lorenzo Lonfernini e al Segretario, Gabriele Gatti annuncia la decisione di non accettare la nomina in direzione.
"Lo faccio – scrive – per spirito di servizio, in conseguenza dei malumori conseguenti alla nomina di questo organismo, che potrebbero indebolire l’azione del nostro partito". Un passo indietro che Gatti spiega aver deciso di compiere in nome del rinnovamento, che condivide pienamente, e nella convinzione che l’unità del partito sia un bene primario che vanga prima delle persone. "Una decisione – fa rilevare – che segue quella di pochi giorni fa quando – dichiara – con lo stesso spirito avevo messo a disposizione l’incarico di Presidente del Gruppo consiliare".
E sulla vicenda intervengono gli autosospesi democristiani che definiscono "nell’ordine naturale delle cose le conseguenze di un congresso – scrivono – combattuto solo sul piano della supremazia personale e non sulle idee".
Per loro gli oltre 400 delegati hanno raccolto il richiamo all’unità "non sapendo invece di assecondare – scrivono – i deliri di qualcuno e le ambizioni di altri. E non servirà neppure la farsa – aggiungono – delle dimissioni di molti membri della direzione tra cui – affermano – il regista principale dell’intera operazione, inventata solo per rimettere in discussione un risultato che a troppi ha dato fastidio. I ventuno firmatari – concludono – del documento del 4 ottobre, erano forse temerari ma non visionari e oggi il popolo democristiano l’ha capito e sempre più numeroso si avvicina a loro e al percorso che stanno compiendo".
Riproduzione riservata ©